Attualità

Vini di Vignaioli | Naturalmente Fornovo 2013

pubblicata il 21.11.2013

Ci sono motti e parole che nell'uso si consumano: a forza di ripeterli perdono la loro forza comunicativa e si disperdono nell'interpretazione. Quando poi diventano slogan si spengono nella retorica e s'affievoliscono, annebbiandosi in mille distinguo.
Per questo oggi affrontare l'argomento dei vini "naturali" è un esercizio di pirobazia: perchè da un lato si corre il rischio di essere triti (e tristi) nel reiterare una minestra troppe volte scaldata; dall'altro si teme di urtare la sensibilità di operatori appassionati, prodighi di passione e coivolgimento e buona creanza. Alla fine il poco del luogocomune sopralza il tanto di buono che c'è dietro, ed è un crimine.
Se poi il cronista è un laico incallito, leggermente ingrigito dal cinismo del tempo che passa, ancor più alto è il rischio di liquidare tanto rigore con un'alzata di sopracciglio, di quelli che si dedicano all'astrologia, o ai cucchiaini che si piegano con la forza del pensiero.
Premesso il mea culpa, ecco l'asserzione. A Fornovo si incontrano persone che credono fermamente in quello che fanno. Hanno un'idea e molto spesso la perseguono con commovente fermezza. E' una cosa che fa bene al cuore. Vale però la pena di ricordare che anche altrove ci sono persone che credono fermamente in quello che fanno, e che l'esclusiva dell'impegno non ha albergo. E che se passa l'idea che "il mio prodotto è migliore del tuo perchè io sono una persona migliore di te perchè ho un'etica" scendiamo nel campo dell'opinabile. E dell'antipatìa aprioristica.
Tutto ciò per liquidare tutte le precondizioni per entrare a Fornovo: le scarpe, le camicie a quadri, i secchi per terra per sputare, che sono spesso delle superfetazioni del senso d'appartenenza, un bisogno non sopprimibile dell'essere umano.
Invece a Fornovo c'era anche tanto vino buono. Di molti dei produttori presenti si parla abitualmente su questi pixel, li conosciamo e li comunichiamo con l'affetto e la foga degli innamorati: vale la pena di dedicare qualche parola ad alcuni di essi conosciuti seppur frettolosamente in quell'occasione.
Finalmente avvicinati i vini frizzanti per vocazione di Crocizia, produttore della provincia di Parma che ha raggiunto ormai un punto di equilibrio tra la pulizia espressiva e la forza elementale dei suoi vini. Spettacolari il barbera Ottòbor, severo, lungo e fine e la Besiòsa, la malvasia macerata secca e profumata allo stesso tempo. Bellissimo il Maestri teso e terroso del Marc'Aurelio, e il nervoso taglio di Croatina, Barbera e un saldo di Pinot del S'cètt.
Fumiganti i Lambruschi di Danny Bini, produttore minimo della piana di Coviolo presso Reggio Emilia: da non perdere il Libeccio, un Grasparossa rustico e potente, con una presa papillare simile ad un gioioso sequestro. Da farci il bagno il Ponente, taglio dei quattro principali vitigni lambruschi: molto convincente, curato e con sorprendenti tratti di eleganza lambruschista.
Dal Friuli i vini vibranti de I Clivi: il Tocai Galea 2011, stretto e fine, il Brazàn 2011, ancora Tocai ma più pieno e durevole. Clamoroso il Merlot Galea 2006, un bicchiere diritto e magro che risplende di tannini elettrici e un bellissimo finale che non si dimentica del frutto.
Decisivi anche i rossi-neri di Francesco Guccione, furibondi di sicilianità: il ruvido e nervoso Perricone, e l'oscuro e umbratile Nerello. Più riflessivo il "Blend" che accoglie le caratteristiche dell'uno e dell'altro, ma che vorrebbe indagato con una maggiore attenzione per la ricchiezza di sfumature che si rischia di disperdere nello sgomitante assaggio Fornovese.
Sgombrato il campo dall'ideologia e dalla retorica, il fenomeno - che questo è - dei vini naturali a mio avviso è portatore sano di una eccezionale valenza estetica, oltre all'enunciato etico di cui si può fin troppo discutere: che esiste una bontà scardinata dalla piacevolezza, una bellezza districata dalla grazia.
Su questa strada c'è tanto futuro.

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