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Vinitaly 2012 | Gianpaolo Paglia di Poggio Argentiera

pubblicata il 28.03.2012

Mi piacerebbe essere uno di quei decani dell'enoletteratura che possono dire Conobbi Mevio Caio negli anni sessanta, quando faceva il vino in dame e lo vendeva sfuso agli emigranti che tornavano a casa sull'Aurelia. Non posso, perchp negli anni sessanta giuocavo con le bisvalide. Invece posso dire che ho conosciuto Giampaolo per cose di vacanza: ero lì a un metro e il tizio dell'agruturismo mi ci menò. Parlammo. Bevemmo. Ne nacque una corrispondenza eccetera. I suoi vini mi piacevano: grassi e polputi. Forse il Finisterre un po' meno, ma mi piacevano. Poi è successo qualcosa. I vini di Poggio Argentiera sono dimagriti sotto la spinta di una ricerca continua di vigne e di cloni, di vitigni e di zone. La finezza, ecco. E magari anche l'agilità. Allora nell'ampia panoplia dei vini pagliani (e camilliani, visto che il fido Antonio Camillo è lì e vigila) ricordo: il vigoroso Vallerana Alta, ciliegiolo in purezza, una singola vigna di cinquant'anni molto sudista, dalle parti di Capalbio: teso e vivido al naso, riconoscibile e gustoso all'assaggio: il Sauvignon Alture, che dice di cose assai più nordiche per esperessività, pur essendo caldamente vulcanico per le sue radici pitiglianesi. E infine maestosamente sottile, finemente intenso il new - Capatosta, morellino 2009. Scarico al colore, schiettamente sangiovesizzato. Poi quel profumo con inserti di frutta di giusto peso, e piccole animalità sotto controllo. E poi la complessità del sorso vero, ampio e sincero, profondo senza essere denso. Progetto di stravolgimento fin dalle fondamenta con l'estirpazione delle fatidiche barriques, e le botti grandi, e la visione mistica di un vino che soprattutto deve piacere a chi lo produce. A vederlo, il Paglia: sta seduto con una postura da pascià, intriso di una sorta di buddhità enologica che gli stira il volto, quasi ringiovanisce ancor più dei suoi 39 29 anni.

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