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Vino, e non sai cosa bevi

pubblicata il 17.07.2013

L'Italia del vino celebra in questi giorni il cinquantesimo anniversario della DOC: Denominazione di Origine Controllata. L'intento nobile del legislatore a quel tempo era quello di dare un ordine alla multiforme produzione vinicola italiana. In realtà si iniziò a parlare di tutela molto prima, nel 1921, quando il fondatore di Assoenologi Arturo Marescalchi presentò alla Camera un progetto al fine del riconoscimento di quelli che vennero chiamati “Vini tipici”. Il progetto fu convertito in legge nel 1930, senza però entrare mai in vigore, per la mancanza di regolamenti attuativi. Dopo il trattato di Roma del 1957, fu il 1963 l'anno decisivo per quella che ancora oggi è la struttura di base della piramide della qualità dei vini italiani, con il Decreto del Presidente della Repubblica numero 930 del 12 luglio. La legge, come spesso avviene, venne spesso presa per mano negli anni, fino ad arrivare alla versione attualmente in vigore: il Decreto Legislativo il 61/2010, emanato a seguito dell'approvazione in sede europea della nuova OCM (Organizzazione Comune di Mercato) sul vino. Le OCM sono delle linee guida a livello europeo che regolamentano la produzione e la commercializzazione dei prodotti agricoli. Quelle, per capirsi, che decapitarono alcuni anni il settore saccarifero in Italia, portando di punto in bianco la produzione di barbabietole da zucchero da 250 mila ettari a circa 50 mila, e gli zuccherifici in funzione sul territorio nazionale da 19 a 4. Tornando a parlare di vino oggi le denominazioni sono 403, di cui 330 Doc e 73 Docg. Le Igt invece sono meno e si fermano a 118. Ma è proprio nell'anno dell'anniversario che le Denominazioni vengono sempre di più messe in discussione. Secondo i detrattori sono ormai delle scatole vuote che non hanno più niente a che fare con la qualità del prodotto. In effetti le DOC e le DOCG mettono dei paletti sul metodo e sul luogo di produzione, oltre che sulle caratteristiche organolettiche da rispettare, ma il concetto di qualità sembra lentamente spostarsi altrove. Sarà per questo che sempre di più si sente parlare in giro di prodotti declassati: un po' per questione di principio, un po' per questioni economiche. L'ultima modifica legislativa ha infatti introdotto un nuovo concetto attorno al soggetto che da sempre tutela e vigila sulle DOC e sulle DOCG: i Consorzi di Tutela. Sto parlando dell'erga omnes, ovvero quella norma che prevede che se la rappresentatività di un Consorzio supera il 40% dei viticoltori e il 66% della produzione, quest'ultimo può esercitare le sue funzioni nei confronti di tutti i soggetti che utilizzino la denominazione, anche se non associati. Questo vuol dire che tutti sono tenuti a pagare i Consorzi, associati o meno. Questo perché, ricordiamolo, i Consorzi sono enti ad adesione volontaria. Declassare però significa rinunciare a rivendicare una DOC o una DOCG, azione non sempre possibile in termini di mercato per i produttori di alcune Denominazioni, come Prosecco o Franciacorta, giusto per fare due nomi. Il vino diventa così Vino Rosso, Vino Bianco o Vino Rosato, senza fornire ulteriori informazioni al consumatore. Perché, ironia della sorte, per questi vini è vietato indicare le uve di partenza da cui sono stati ricavati, così come non è possibile indicare l'annata della vendemmia, se non con alcuni escamotage sul filo dell'interpretazione legislativa. Questo non è vero nel caso dei vini cosiddetti varietali, che possono portare in etichetta sia l'annata che il vitigno di partenza. Il problema è che questi vini varietali sono espressione esclusivamente di vitigni internazionali: Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Cabernet, Chardonnay, Merlot, Sauvignon, Syrah. Nulla viene concesso per le centinaia di varietà autoctone di cui può fregiarsi l'Italia. I vini che non siano DOC, DOCG, IGT o varietali diventano così delle schegge impazzite, dietro i quali possono nascondersi grandi prodotti, così come bibite al limite della bevibilità, o ancora truffe legalizzate. Visti i tempi che corrono, la mancanza di regole certe per questo tipo di vino lascia perplessi. Un po' più di attenzione da parte del legislatore sarebbe auspicabile.

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