Icona non solo della produzione di insaccati di Bologna, ma della città stessa, la mortadella è un salume dalle origini molto antiche. Con ogni probabilità essa veniva già preparata ai tempi dei romani e, successivamente, si trovano tracce negli scritti di Fra Pandolfino nel 1300 e di Boccaccio, nel suo Decamerone, nel 1350.
L’etimologia del nome. Le tesi sono le più varie, alcune sostengono che derivi dal vocabolo latino “myrtatum” - riportato anche in un passo di Plinio Il Vecchio - che designava le bacche di mirto utilizzate in epoca imperiale in sostituzione del pepe; altre invece pongono la genesi del nome nella parola mortaio, ovvero lo strumento utilizzato per pestare la carne. Altre, forse più fantasiose, lo fanno derivare da “mortada”, ossia pallida, in riferimento alla colorazione dell’impasto.
La ricetta. Alcuni studiosi ritengono che essa sia stata tramandata oralmente dall’epoca romana fino al Medioevo, quando alcuni monaci pestarono appunto la carne in un mortaio, aggiunsero spezie (che a quell’epoca di certo non mancavano) e poi la insaccarono dando così vita alla produzione della Mortadella di Bologna.
La sofisticazione, i falsi. Visto il successo di questo insaccato nel corso della storia si sono susseguiti infiniti casi di contraffazione, non solo in Italia, ma anche in tutta Europa. La situazione divenne talmente incontrollabile che furono numerosi gli editti, conservati presso la biblioteca dell’Archiginnasio bolognese, emanati dai cardinali legati di Bologna. A vigilare sul rispetto della tradizione e della qualità, c'erano i norcini della corporazione dei Salaroli. Nel 1661 il Cardinale Farnese promulgò un documento chiamato "Bando e provvisione sopra la fabbrica delle mortadelle". Una testimonianza molto importante che attestava e codificava in maniera molto particolareggiata le varie fasi della produzione della mortadella, così come la scelta delle carni. Una delle prime forme al mondo di tutela nei confronti di un prodotto e di identificazione dello stesso come patrimonio culturale.
Oggi. Sono davvero pochi gli artigiani che producono una mortadella degna di tale nome, l'ultimo rimasto a Bologna è senza dubbio Ennio Pasquini. Non si tratta dei surrogati che molto spesso purtroppo si incontrano, quanto di un prodotto di antica memoria e specchio fedele della tradizione.
La produzione. Tre sono gli ingredienti principali della mortadella Pasquini: la carne magra di suino (prevalentemente spalla), i lardelli, quindi i classici cubetti bianchi, provenienti dalla gola dell'animale (a dispetto di quelli della pancia hanno maggiore sapore e migliore resa in cottura) e il cosiddetto trippino. Di cosa si tratta? Come dice il termine, lo stomaco del suino, che è determinante infatto di gusto e consistenza della mortadella. La parte magra e il trippino vengono più volte tritati con un macchinario dal nome emblematico, lo sterminio, fino all'ottenimento di una pasta fine, alla quale andranno mescolati i lardelli insieme a sale, pepe e spezie (ndr, la miscela utilizzata da Pasquini è segreta). Da qui si procede ad insaccare nelle apposite macchine, con vesciche naturali o involucri sintetici, e alla legatura manuale. Segue la cottura nelle apposite stufe con aria calda per un tempo che cambia in base al formato (da 1 a 20 kg di norma). Una fase davvero importante perché concorre a fare la differenza, che richiede grande esperienza e sensibilità.
Il prodotto finale si differenzia innanzitutto per il colore. Basta dare uno sguardo alle fette vellutate di questo insaccato per capire che ci si trova davanti a qualcosa di diverso dalla produzione industriale. Il colore è sì rosa, ma più scuro, indice anche dello scarso utilizzo di nitriti, nitrati e antiossidanti, aspetto possibile solo con un'accurata selezione a monte delle carni e una sapiente, quanto scrupolosa, lavorazione. La mortadella Pasquini è inoltre priva di glutine, allergeni, derivati dal latte, zuccheri. Ma si differenzia anche al gusto: unico, inconfondibile e profondamente genuino.
In una sola parola: superba.