Il Pastifizio Giuseppe Afeltra ha una lunga storia familiare, che si interseca - come nella più cristallina tradizione gragnanese - con la vita e i nomi dei pastai. Come in altri casi, anche Afeltra si pregia di omonimìe, ed tutto un cercare di non confondersi
I paccheri di Giuseppe Afeltra sono belli, rugosi e leggermente scomposti, animati da curve soavi. Hanno colore chiaro, non bianco, con farina ancora tracciabile. Li cuocio alla maniera di Scabin: 3 minuti a fiamma alta, e 10 minuti a riposo.
Escono duri: al chiodo. Mi vanno bene perchè sparano fuori il sapore, conditi solo con buon Olio di Romagna e poco pepe nero.
Sono interi, con qualche rara crepa. Magari un po' corti di profumo, sia all'immissione in cottura che nel piatto. L'estrusione è perfettamente integra, la pasta è compatta anche dopo l'acqua, senza esitazioni. Già alla punzecchiatura della forchetta manifesta un carattere elettrico e vibrante.
L'assaggio è esaltante per consistenza, che si fa irresistibilmente cartilaginosa con il passare dei minuti. Più riservato invece il sapore: sfumato il componente del grano, più in evidenza la sensazione pastosa.
Li vedrei con un sugo generoso di pomidoro infornati, pecorini del Sannio, erbe locali e muscoli frementi.