C'è una cosa che mi piace, in questa birra chiara, una bionda "di tradizione italiana". Dice.
Nel fiorire di titoli e sottotitoli mi piace questo: Birra Pedavena. Riga. Niente payoff, niente claim, niente strillo. Niente di niente. E devo dire che l'anticipazione è particolarmente a tema.
Il birrifizio Pedavena, di lunga vita vivo dal 1897, era passato di mano fino a giungere al colosso Heineken che ne aveva sentenziato l'inefficienza, l'improduttività. La fine, insomma. Ma non andò liscia perchè quasi per sollevazione popolare la Castello SpA decise l'acquisto e gli impianti si rimisero in funzione.
Ora Pedavena ha un piccolo catalogo, ma la sua birretta è una goduria. Gialla dorata e intensa, rilascia un piccola schiuma si grana grossa, lesta a svanire. Quasi priva di perlage, ha un profumo per nulla aggressivo, ma asciutto e pulito. Cristallino, direi, con una virgola di un qualcosa che non riesci ad afferrare. Certo, i malti, e il luppolo, ma anche qualcosa d'altro.
Poi l'assaggio: fatto di un mirabile equilibrio tra l'attacco salino, non frizzante ma mosso, e il finale naturalmente amaro come t'attendi da una chiara italiana. Sorprende però il centro del sorso, che è meno secco e meno scavato di quanti potresti temere: anzi con quel non so che ti sembra quasi, masì, forse esageri, ma: tondo. Poi, schioccando il palato rilevi quel che: la traccia del mais cotto, come fosse popcorn, o la crosta della polenta fritta.
Dissetante, facile e felice.