Avevano già spianato le baionette ad altezza d'uomo. Supini in cima ai tetti i cecchini, coi loro puntatori laser, aspettavano solo il primo stappo per poterlo impallinare. Poi le birre sono arrivate sugli scaffali, dietro alle spine, sono piaciute, e in tanti sono rimasti con un palmo di naso.
Se contate qualcosa nel mondo web-gastronomico lo conoscete di sicuro, anzi ci avete proprio cozzato contro. Se non siete stati battezzati con uno dei suoi schizzi di veleno, se non vi è ancora saltato alla giugulare con un commento al vetriolo, allora non siete quei pezzi grossi che in fondo, nel sottoscala del vostro subconscio, siete un po' convinti di essere.
Luigi D'Amelio aka Schigi,
sommelier non professionista prestato al mondo della birra, protagonista fin dal protozoico del web vinicolo, con gli anni è stato progressivamente risucchiato dal mondo brassicolo fino a divenirne attore protagonista. Fra i suoi meriti storici maggiori, indiscusso quello di aver inventato il
wrestiling birrario, come è stato fatto sagacemente notare. Extraomnes, birrificio nel quale opera come mastro birraio affiancato dal fido Stefano Zandalini, è una sua creatura birraria, a partire dalle premesse radicali dell'esordio: richiamo fedele seppure non ortodosso alla tradizione del Belgio, a partire da nomi, grafiche e numero ristretto delle birre proposte, ricette chiaramente ispirate ai suoi stili classici con utilizzo dei ceppi di lievito originari, che danno qualche grattacapo in più degli omologhi americani da IPA e scoraggiano taluni. Quattro birre che sono andate a riempire il segmento, piuttosto sguarnito nel panorama italiano, degli specialisti degli stili di questo glorioso paese. Qualcuno le ha tacciate di omologazione, di replica pedissequa, come se ispirarsi alle birre più buone del mondo sia una colpa, come se la ricerca dell'élite debba passare per forza dal distinguo, dalla ridondanza, ammesso che di élite ci sia una qualche necessità. A molti altri sono piaciute, nell'ovvia perfettibilità talvolta.
La Zest è stata il primo esperimento di innovazione personale, per uscire dalla noia della routine produttiva. Nata come birra d'occasione, il successo di pubblico è stato così travolgente da renderla ben presto la birra-bandiera con cui identificare il birrificio stesso. Il che non vuol dire che sia necessariamente la migliore, anche se io sono tentato dall'affermarlo. Merito di tanto consenso è stato sicuramente l'utilizzo copioso in aroma del Citra, luppolo americano introdotto da qualche anno sul mercato, talmente apprezzato dai birrai da scarseggiare oramai in modo preoccupante. La Zest è una saison leggera di 5.3% e la mia lettura è proprio quella di una saison belga in senso stretto, cioè una birra stagionale e rinfrescante, beverina e di grande secchezza, possibilmente speziata. Qui, in assenza di spezie, fa le veci questo luppolo debordante. Del resto questo stile, che in realtà non è un vero stile quanto una tradizione e un'occasione, lascia ampi margini d'interpretazione.
L'aspetto è un bel dorato con riflessi arancio, schiuma fine e copiosa. Il naso è dominato dalla presenza del Citra, con un'esplosione di caratteristiche note agrumate di mandarino e pompelmo, una pesca sontuosa, un sottofondo resinoso e qualche accenno tropicale. In bocca la detonazione luppolata se possibile è ancora più deflagrante, con secchezza mirabile ed un corpo lieve a sorreggere chirurgicamente tutta la mole, garantendo una beverinità omicida. In questo effluvio luppolato, l'impianto resta però solidamente - e salvificamente - belga. Il finale è lunghissimo, amaro, balsamico.
Vogliamo dirlo? E diciamolo! È una birra modaiola, ammicante, un po' cialtrona se vogliamo, che non può non piacere al bevitore che ha sdoganato l'amaro. Ma è anche una birra ragionata, che prende due elementi base, un ottimo lievito ed un luppolo eccezionale, e li combina in maniera mirabile. Il carattere peculiare del lievito saison non viene snaturato dalla vagonata di luppolo americano, traghettando l'ascendenza belga verso un'innovazione che non diviene caricaturale. In soldoni: mi piace parecchio.