Bizzarra la somiglianza di grafia e di pronuncia che hanno due prodotti stupendi, italiani, irripetibili e diversissimi. Che hanno in comune la calabrese 'nduja e il novarese salame della duja (vabbè, si dovrebbe scrivere doja, per essere filologici: dialettalmente la “o” scritta si pronuncia come una “u”)? Solo la carne da cui originano: quella del maiale. Perfino la genesi del nome è diversa: nel caso del prodotto calabro, si cerca di ricondurla al francese andouille, che vorrebbe dire salsiccia. Tutt'altra cosa per il prodotto padano. La duja, a Novara e dintorni, è una sorta di anfora con coperchio. Un contenitore.
Proprio in quel contenitore finiva, e finisce, il salame. Il salame della duja, che è tradizionale anche nei dintorni di Vercelli e in alcune plaghe della Lomellina pavese, è il salame che viene messo nella duja. Che per l'occasione è piena di bianco strutto di maiale. Si tratta, in parole povere, di un antico e ingegnoso sistema di conservazione. La carne suina viene macinata a grana piuttosto fine, e insaccata in un budello non troppo spesso, di solito il cosiddetto torto. Poi, la magia: immersione nella giara piena di grasso. Il salame non ci sta per poco tempo, lì. Ci resta anche qualche mese. Poi, come un'araba fenice, il consumatore lo fa risorgere, lo salva dal suo annegamento (che peraltro non gli nuoce per nulla), e lo taglia. Sorpresa: il salamino, anche dopo molto tempo, si è mantenuto morbidissimo. Il sapore viceversa è maturato rispetto alla pasta di salame fresca: ha acquisito sapidità e anche una lieve piccantezza. Qualche sentore amarognolo è normale, a patto che non si ecceda il livello di guardia. E lì c'entra sia la qualità della carne, sia la perizia del norcino e dello stagionatore.
Flavio Bergamaschi ha quasi cinquant'anni d'esperienza nel settore: un curriculum a prova di bomba. Nella sua azienda, la Agricola Valsesia, a Sillavengo (Novara), paesino poco distante dall'A4 e dal famoso Vicolungo Outlet, il prodotto all'occhiello è proprio il salame della duja. Nasce completamente in casa: i maialini sono allevati con attenzione nell'azienda di famiglia, a ciclo chiuso. Perfino i rifiuti organici dell'allevamento vengono razionalmente trasformati in biogas ed energia. I mangimi sono pur'essi coltivati ed elaborati in proprio. Il laboratorio di macellazione e di confezionamento fa il resto. Il risultato è il salamino che avete sotto i vostri occhi, morbido e gustosissimo. Potete mangiarlo crudo, oppure usarlo in cucina: è ingrediente storico della panissa, uno dei risotti più ghiotti d'Italia.
Bergamaschi poi è artefice anche del fighidin, un salame della duja che contiene una robusta percentuale di fegato: una bella botta di sapore. Poi, salami crudi più o meno stagionati; salamini da cuocere; sanguinacci neri; salami di patate; pressatella, che sarebbe una specie di testa in cassetta; lardo intero e macinato; ciccioli pressati; salsiccia fresca. E non pensate che i salumi esauriscano la vostra visita. Qui si vende la carne fresca dei maiali allevati lì dietro. Se volete farvi una cassoeula alla lombarda, qui trovate cotenne (magnifiche), musetti, orecchie. E, ovviamente, costine. E tutti gli altri tagli del maiale, comprese rare frattaglie come cuore, reni e simili. Così, se volete farvi una zuppa di soffritto alla napoletana, sapete dove andare.