Il formaggio più famoso della Valtellina, la valle più famosa della Lombardia, è certamente il Bitto. Molto se n'è parlato, in questi anni, e la discussione relativa al disciplinare Dop di manica alquanto larga (è possibile produrre Bitto non soltanto nelle valli originarie di Gerola e Albaredo, ma in tutta la provincia di Sondrio) ha suscitato aspre polemiche. Noi spiazzeremo i talebani: se un buon Bitto è realizzato con gli stessi criteri di quello “originale” (perché lo è davvero) della Val Gerola, ossia niente insilati, solo alpeggio estivo, un goccio di latte di capra in aggiunta a quello di mucca, non vediamo perché non accettarlo anche se fatto un paio di montagne più in giù.
Il fatto è, però, che questa esplosione (vorremmo dire moda) del Bitto ha annacquato la diversità dei formaggi dei singoli alpeggi: la febbre del Bitto li ha un po' fatti sparire. Ma non dappertutto. Leonardo Nani e la sua famiglia, a lasciar perdere i formaggi tradizionali non marchiati, non ci pensano neanche lontanamente. Così, in Valmalenco, comprensorio famoso per lo sci ma dotato di pascoli di tutto rispetto, nella loro Azienda Agricola Pizzo Scalino producono sì formaggi a marchio, ma soprattutto tanti bei caci tradizionali “senza nome”. Che poi è solo per modo di dire.
Il mondo dei semigrassi d'alpe ci parla di alpeggio, storia, antichità. Si diceva: “Andiamo a prendere il formaggio”. E “il formaggio” era quasi sempre un semigrasso d'alpe. Alpe che in questo caso è l'alpe Campagneda, proprio sotto il Pizzo Scalino. I Nani fanno qui l'alpeggio estivo. Ecco dunque questo mirabolante grasso d'alpe, a pasta semimolle, gloriosamente opulenta, dal sapore nocciolato e burroso. Il campione più giovane è di colore più chiaro, lievemente occhiato all'aspetto, e più immediato al gusto. Più invecchia, più diventa complesso e decisamente giallo a vedersi, oltre che di consistenza più sostenuta. In entrambi i formaggi, in ogni caso, l'uso del latte crudo apporta i profumi tipici dei pascoli d'alta montagna.
Qualcosa di diverso? Il formaggio tipo Latteria, che loro chiamano proprio Latteria. Il tipo più giovane è molto adatto per fare i pizzoccheri alla valtellinese, il più ghiotto piatto locale; il più maturo in ogni caso non demerita.
Uno spettacolo lo Scimut, sempre d'alpeggio: la pasta è più magra, con grandi occhiature, e profumi e sapori sono autentiche sinfonie: ecco, per noi il formaggio di montagna dev'essere così. Pure il più semplice Scimudin, il fresco formaggio tondo e largo, è uno spettacolo, anzi tra i migliori: merito del latte crudo e dell'ottima lavorazione.
Ma gli artefici di questa azienda, in cui le donne tra l'altro hanno un ruolo rilevante, hanno anche pensato a inventarsi dei formaggi nuovi. Uno su tutti: lo Strakkino. Con queste “k” fumettistiche, non è un errore. Malgrado il nome potrebbe far pensare a una variante di stracchino, siamo di fronte a un caso conclamato di faux amis linguistici: più che uno stracchino, siamo di fronte a un altro formaggio “da montagna” con la sua crosta spessa e la forma rotonda. Solo che è erborinato. Sissignori. Ed erborinato naturalmente, con semplice foratura dei formaggi.
Quindi, un'intrigante sintesi tra la cordialità contadina e rotonda delle “tome” (chiamiamole così, di fatto si tratta della stessa famiglia) valtellinesi, e la peculiare monelleria dei formaggi blu.