Toh, vedi la combinazione: in Brianza si fanno i formaggi. E non da adesso, magari grazie a qualche moderno e fantasioso casaro: da un bel po'. Da secoli, almeno due se non di più. Già analizzando il fenomeno delle piccole norcinerie artigiane, avevamo fatto notare come la Brianza, ex terra di villeggiatura dei signorotti milanesi, non produce soltanto serramenti, mobili o materie manifatturiere. Per il formaggio, stesso discorso. Con un avvertimento: di casari ne sono rimasti molti di meno.
Raffaele Maggioni è uno degli ultimi produttori dei Formaggini di Montevecchia. Sul colle del paesino oggi in provincia di Lecco, si è sempre coltivata addirittura la vite. E coi simpatici vinelli locali non c'era nulla di meglio di un sapido formaggino stagionato. Formaggini: è questa la chiave di lettura. Badate bene: abbiamo scritto “formaggini” e non “caprini”, perché il formaggino di Montevecchia può nascere sia di capra che di mucca, e in certi casi di entrambe. Contrariamente a quello che alcuni pensano, il formaggino di mucca non è un ripiego imbastardente della vita moderna. Francesco Cherubini, che non era un antenato di Jovanotti ma l'autore, nel 1839, di un vocabolario milanese-italiano, sotto la voce “Formaggett” parla di “caciuole piccine di latte pecorino, caprino, vaccino o misto, che soglion venire dai colli della Brianza”. Ergo, il bistrattato formaggino di mucca non ha minor dignità storica di quello di capra.
Quello del signor Amabile Maggioni è sempre stato un nome di riferimento, al riguardo. Oggi che alle redini c'è il suo discendente Raffaele, il vessillo del formaggino di mucca è più alto che mai. Raffaele procede secondo tradizione, e ha solamente aggiornato gli accorgimenti tecnici alle più recenti disposizioni sanitarie. Il latte è principalmente brianzolo, e segue due strade: per i formaggini più freschi viene pastorizzato, mentre negli stagionati è impiegato a crudo. I formaggini freschi sono cilindrici, bianchi, morbidi, di sapore immacolato. Ottorina Perna Bozzi, grande maestra di cucina e attenta ricercatrice delle più antiche usanze della Brianza, suggerisce anche come mangiarli: a Montevecchia e nella vicina Sirtori, si cospargevano di prezzemolo tritato, di un filo d'olio e un po' di pepe; a Monza, la loro morte era con sale, pepe, olio e cipolla; a Calco (Lecco), paese della Brianza piena, la cipolla era sostituita dall'aglio; nei comuni dell'alta Brianza, viceversa, la sola aggiunta era di olio, pepe e sale.
La musica cambia coi formaggini di mucca maturi, che da Maggioni hanno circa due mesi. Sono di colore giallognolo, e hanno una consistenza più dura. Il sapore logicamente cambia: più sapido, più ricco. Raffaele propone anche un grande classico di Montevecchia: il formaggino messo sott'olio, ideale col salame crudo e un bel vino rosso.
Ma se gli starete simpatici, o anche solo se glielo chiedete, Raffaele vi porterà in empireo: andarà nel retrobottega e vi recherà i formaggini stagionati per quattro mesi. Una bomba di persistenza e di autorità. Un gusto piccante, intenso, che va gustato così o addomesticato con poco olio leggero. Una meraviglia.
Il piccolo caseificio offre anche altro. Il burro, per esempio. O lo yogurt. E soprattutto, le grandi formaggelle fresche, semplici o aromatizzate con aglio e prezzemolo, oppure rosmarino, o erba cipollina. Un viaggio oltremodo simpatico.