Una volta, tanto tempo fa, la dizione “Pecorino toscano” non esisteva. Ogni paese, ogni collina, ogni cantone della splendida Toscana aveva il suo formaggio, rigorosamente di latte di pecora. Formaggi uno diverso dall'altro, debitori dei pascoli e della sapienza del singolo casaro, che ci travasava le sue esperienze. Un mosaico di bontà, forse irripetibili.
Diciamo forse, perché qualcuno, da un po' di tempo, ci ha provato. Nel 1955, a Fauglia, Remo Busti cominciò a fare quel che sapeva meglio: il pecorino. E oggi i suoi discendenti, oltre a trarre il massimo partito dall'azienda agricola di casa, hanno deciso di andare alla ricerca di tutte le varianti, i cru del più buon formaggio di Toscana. E han fatto una specie di università, l'enciclopedia del pecorino. Hanno la possibilità di raccogliere il latte dalle zone a pascolo più vocate, sottolineando le sottili diversità delle une e delle altre.
La gamma ormai è vasta. Il nostro preferito, probabilmente, è il Pecorino di Remo. Prodotto a latte crudo, dalla crosta rossastra, questo pecorino è un po' l'archetipo della forma di latte di pecora, così come dovrebbe risultare in un ipotetico manuale: sapore ricco, sapido ma non superficialmente salato, pieno di forza. Si accosta con piacere a un vino rosso, com'è giusto che sia. Un altro pezzo da novanta è il Roncione, riconoscibile dalla crosta coperta di paglia, naturalmente da scartare: un pecorino di una ricchezza unica, affinato con sapienza in una grotta tufacea che si presta alla bisogna dal Settecento, nientemeno. Per palati forti. Stesso discorso per il Metello, un pecorino bianco stagionato appunto nella località di Metello, in Garfagnana.
Questi sono un po' i centravanti di sfondamento, in una squadra dove tutti giocano al massimo delle loro forze. A centrocampo, abbiamo i citati cru della Toscana: Pascoli del Chianti, Pascoli di Siena, Pascoli di Pienza, Pascoli Colline Pisane. Tutti con una loro sottile personalità. Il Transumanza a latte crudo trae invece origine da armenti che pascolano da ottobre a maggio nella pianura pisana, per poi “transumare”, a giugno nell’alta Garfagnana e nell'alta Reggiana, dove restano fino a settembre, mentre il Pecorino del Parco nasce nella famosa pineta di San Rossore.
Molto tipico il classico Marzolino del Chianti, dalla crosta colorata di pomodoro. Pure tradizionalissimo è il cosidetto Baccellone, un pecorino molto fresco che si abbina coi baccelli, ossia le fave, e si vende esclusivamente in primavera.
Chiudiamo con un capitolo gaudioso: i pecorini aromatizzati. I Busti le hanno tentate tutte. Quello che preferiamo è il Pecorino al Pesto, fresco e con l'aromaticità eccezionale data dal basilico. Ma tutti gli altri sono da segnalare: zafferano, pepe, pinoli, pistacchio. E perfino il pecorino al cioccolato, da servirsi rigorosamente a fine pasto.