Lesso e le sue versioni

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INGREDIENTI

PROCEDIMENTO

Vicentini e veronesi si odiano. Calcisticamente e territorialmente.
Pure le cucine sono piuttosto diverse: se da una parte abbiamo il bacalà alla vicentina dall’altra la pastisada de caval, se di qua ci sono i bigoli co' l’arna, di là i bigoli col musso. È, insomma, un dualismo a tutti gli effetti, che va avanti da secoli.
La manifestazione più evidente di questo dualismo si materializza nel lesso. Per noi gente di campagna il lesso era legato, e in qualche caso lo è ancora, al pranzo della domenica. Alle mamme che di prima mattina, magari dopo messa, mettevano sul fuoco enormi pentoloni di acqua, cipolla, sedano, carote e carne. Alle volte era la gallina, altre il manzo, altre ancora il cappone o l’anatra. Nel brodo finivano poi le tajadele tirate con la mescola e tagliate con il coltello, magari irrobustite da un paio di cucchiai di fegatini di pollo al momento della distribuzione in tavola.
Fin qui le tradizioni veronesi e vicentine si incrociano, ma si dividono subito dopo sul lesso. La carne del brodo, con le massaie che se ne fregavano assolutamente della questione acqua fredda-acqua bollente, era l’ovvio seguito della minestrina in brodo. Ma il lesso, si sa, chiama l’accompagnamento di salse. E qui nascono i problemi.
Se a Vicenza è classico l’utilizzo del cren, a Verona impazza la pearà. Salse diversissime, con una filosofia e un metodo di preparazione altrettanto diversi.
Il cren si fa con tanta pazienza, una grattugia e una maschera da sci. Si parte da una radice di rafano, la si grattugia all’aria aperta e indossando la maschera di cui sopra. E si piange. Tanto. Ma proprio tanto. È poi sufficiente allungare la radice grattugiata con un po’ di aceto e lasciar riposare per qualche tempo in un vasetto, meglio se in frigo.
La pearà invece si prepara al momento. Si parte dal midollo di bue che si fa sciogliere in una pentola, a cui va aggiunto il pane grattugiato, brodo (quello del pentolone che bolle) e pepe. Tanto. Ma proprio tanto. La si lascia sobbollire per diverse ore, diciamo tre, aggiungendo di tanto in tanto del brodo nel caso in cui asciughi troppo. Il risultato deve essere denso, ma non troppo.
Se da una parte abbiamo acidità e piccantezza che ci puliscono il palato dal grasso del lesso, dall’altra aggiungiamo grasso al grasso. Se con il cren possiamo giocare con il contrasto fra il caldo della carne e il freddo della salsa, la pearà va servita rigorosamente calda. Se con il cren meglio essere parchi nelle dosi, con la pearà si può - anzi si deve - abbondare.
Quale delle due scegliere? Io non ho dubbi. Ma io sono vicentino.
Immagine: eWrite; photobug

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