Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
Da oltre trent’anni, Melinda è sinonimo di mele. E di rispetto e cura e attenzione per il territorio e i suoi abitanti. Ma il segreto di questo successo non è (solo) nei frutteti: è anche sotto ai nostri piedi
Si dice che Isaac Newton capì la legge di gravità, o almeno ebbe l’intuizione che gli permise di capirla, grazie a una mela: stava leggendo un libro sotto a un albero e una mela gli cadde in testa. O accanto. O forse la vide cadere e basta. Non importa, perché probabilmente è solo una leggenda. Quel che importa è sapere come si trattano le mele, come si raccolgono, come le si fa arrivare buone sulle nostre tavole. E come farlo nel modo più sostenibile possibile.
Chi sicuramente lo sa bene sono quelli di Melinda, e non potrebbe essere altrimenti: l’azienda, radicata da decenni nel territorio, ha sede nella cittadina di Cles, collabora con quasi 4mila frutticoltori e grazie alle mele e altri frutti fattura circa 300 milioni di euro l’anno. Ne produce 400mila tonnellate l’anno, che sono più o meno il 20% del totale nazionale, coltivando quasi 6700 ettari di meleti, ed è l’unica a conservarle sottoterra, in quelle che chiama celle ipogee. Non solo l’unica in Italia, proprio l’unica al mondo.
Visto che come si raccolgono le mele ve l’abbiamo già raccontato (con gentilezza, soprattutto), così come abbiamo già spiegato come si usa quella che in cucina è la più famosa di tutte, la Renetta, qui scriviamo di altro, per esempio di come la produzione di questo frutto possa essere resa sostenibile e meno inquinante. Perché faccia bene non solo a noi e levi il medico di torno, come dice il famoso proverbio, ma pure bene all’ambiente.
Lo facciamo iniziando dalle celle ipogee, dove Melinda conserva più o meno il 10% della sua produzione annua: perché si chiamano così? Che cosa sono, a che cosa servono e perché sono importanti dal punto di vista ecologico? Melinda le definisce “frigoriferi naturali”, sono grotte a circa 300 metri di profondità sotto alle Dolomiti, nella zona di Tunnetto di Predaia: realizzate partendo dai vuoti di cava della miniera di Rio Maggiore. Una miniera ancora attiva in cui si scava pensando all'utilizzo futuro degli spazi ricavati dall'attività estrattiva. Il nome “ipogee” viene dal greco, dall’unione fra il prefisso “ipo”, che significa “sotto”, con la parola “geo”, che indica la “Terra”. Sono celle che stanno sotto la terra, appunto.
Possiamo immaginarle un po’ come le gallerie della regione francese dello Champagne dove vengono conservate le bottiglie del celebre vino prima della messa in vendita, oppure come l’interno del Global Seed Vault, il deposito di semi che si trova alle Svalbard, in Norvegia. Però nelle celle di Melinda ci sono solo mele, tantissime mele: le celle sono 34 e ognuna, lunga 25 metri, alta 11 e larga 12, è in grado di contenerne quasi 900 tonnellate, impilate nelle loro cassette verdi, su su sino al soffitto. Tutte insieme arrivano a ospitarne 30mila tonnellate più o meno tutto l’anno e grazie alla frigoconservazione, che rallenta il naturale processo di decadimento della mela: nelle celle la temperatura è abbassata sino ad arrivare a circa 1 grado e anche viene ridotta notevolmente la percentuale di ossigeno.
Ma perché e in che modo le celle ipogee aiutano l’ambiente? I vantaggi sono principalmente due: permettono di ridurre l’uso dello spazio e il consumo di energia. Come si capisce, conservare le mele nel sottosuolo permette di non doverlo fare in magazzini costruiti a questo scopo in superficie, andando a risparmiare, secondo Melinda “un’area grande come 10 campi da calcio”, che può essere destinata ad altro, ad altri meleti o anche lasciata libera perché la natura ne faccia quello che vuole. Poi, visto che là sotto la temperatura si aggira fra gli 1 e i 10 gradi, serve meno energia per creare l’ambiente adatto alla conservazione delle mele: sempre Melinda spiega che “il consumo di energia è dimezzato rispetto a un magazzino tradizionale” e che così si risparmia “la corrente usata in un anno da 13mila persone”.
Non è finita: “C'è un minore consumo di acqua, grazie al ricorso alla geotermia per raffreddare i compressori che abbassano la temperatura nelle celle” (ogni anno si risparmia quella contenuta in 10 piscine olimpioniche) e “non c’è bisogno di pannelli coibentanti di poliuretano espanso, il cui smaltimento genera inquinamento”, evitando l’uso di tanti materiali isolanti quanti quelli che starebbero in 85 tir. Grazie a tutti questi accorgimenti vengono dimezzate le emissioni di anidride carbonica (si evita l’emissione nell’atmosfera di circa 40mila tonnellate l’anno di CO2) e in generale questo è un ottimo esempio della cosiddetta economia circolare perché “quello che prima era uno scarto del lavoro di scavo (nelle miniere, ndr), oggi è uno spazio pronto a ospitare una nuova attività”. Una nuova attività sostenibile, fra l’altro. Questo non è un dettaglio ed è importante: Melinda protegge il territorio in cui opera e lo fa anche perché è il territorio in cui l’azienda vive, in cui vivono i suoi dipendenti e i suoi fornitori. Soprattutto, è il territorio da cui arriva quello che Melinda produce, è la fonte primaria del suo business: rovinandolo, finirebbe per rovinare sé stessa.
Non è solo una questione economica: il punto è anche fare attività di sensibilizzazione su questi temi importanti, fare conoscere alle persone le bellezze del territorio e anche i rischi che corre. Non solo alle persone che lo abitano, ma soprattutto a quelle che lo visitano. Ai turisti, insomma.
Negli ultimi anni, il contributo di Melinda ha permesso di mettere in piedi alcune iniziative che vanno proprio in questa direzione:
- c’è Pomaria, la festa del raccolto, che si tiene all’inizio di ottobre ed è uno dei primi appuntamenti turistici pensati dall’azienda, con stand allestiti nelle piazze dei borghi e delle cittadine del Trentino;
- c’è il Percorso Al Meleto, che si trova a Romallo ed è una passeggiata di 5-6 chilometri dedicata alle famiglie che permette di scoprire i segreti della mela con aree relax, punti panoramici, pannelli informativi e installazioni;
- c’è il progetto Agritur Ambasciatori Melinda, che è nato una decina d’anni fa e raggruppa 20 strutture ricettive che offrono agli ospiti vere esperienze rurali alla scoperta della mela, aperte anche e proprio nel complicato periodo della raccolta, per fare vedere da vicino com’è che funziona e com’è che si fa;
- c’è il Golden Theatre un cubo che permette di scendere virtualmente nelle celle ipogee, che abbiamo visitato e da cui siamo rimasti affascinati.
Nelle intenzioni dell’azienda, quest’ultima esperienza presto diventerà reale, perché Melinda sta pensando a modi per aprire al pubblico i suoi magazzini sotterranei.
Ma l’impegno dal punto di vista ecologico non si limita a questo: l’azienda ha stilato un suo Manifesto della Sostenibilità, spiegato online, che va dal rispetto per gli animali, dall’aumento della quota di produzione bio alla tutela della comunità in cui opera. Qui di seguito ne approfondiamo un paio.
L’acqua è fra gli elementi più usati, abusati e sfruttati per la produzione di cibo: secondo la Fao, ne servono 2400 litri per produrre un hamburger di carne di manzo, 185 per un pacchetto di patatine e 140 per una tazzina di caffè. E per le mele? Dipende. Per i suoi alberi (su ognuno crescono in media 100 frutti a stagione), Melinda ha scelto l’irrigazione a goccia, mirata sulle radici, invece di quella sovrachioma, che bagna tutta la pianta dall’alto verso il basso, risparmiando più del 30% di acqua. Inoltre, visto che le mele vengono trasportate in acqua da un punto all’altro del processo di lavorazione (per evitare che si ammacchino), l’azienda ha installato impianti di filtraggio che permettono di cambiarla con minore frequenza. E così si arriva a consumarne solo 70 litri per produrre una mela.
Poi ci sono le Oasi Biologiche, intese come “un territorio isolato e protetto, fatto di diverse proprietà, in cui si praticano prassi di coltivazione completamente biologiche” e naturali. A oggi, sono 5 le Oasi riservate alla coltivazione di mele Melinda e in appena tre anni lo spazio a loro riservato è cresciuto molto: dai 70 ettari di frutteti bio del 2018 agli oltre 300 ettari del 2021. Per non vanificare il lavoro fatto, le mele bio vengono selezionate in un centro di lavorazione dedicato e confezionate in packaging 100% compostabili realizzati in collaborazione con l’italiana Novamont. Vuole dire che dopo lo smaltimento si restituisce materia organica al suolo, si riducono le emissioni di CO2 e si aumenta la fertilità.
Insomma, non si butta via nulla. Nemmeno le mele “brutte”, quelle che non possono essere commercializzate per il mercato del fresco e vengono cedute all'industria di trasformazione per la realizzazione di succhi e altri prodotti. Nemmeno quelle che hanno danni da grandine o gelo, che sono buone come le altre ma hanno qualche piccola imperfezione sulla buccia e vengono commercializzate con il marchio MelaSì, nato proprio per valorizzare il prodotto di seconda scelta.
Tutto questo per essere di esempio e per contribuire a mantenere il Trentino come è ora: in val di Non e val di Sole il verde è protagonista, come nel resto della regione, tanto che l’89% della superficie è coperta da boschi e pascoli, contro il 2,8% delle aree urbanizzate e il 5,4% usato per le colture agricole. Ed è merito anche delle mele. O soprattutto delle mele, forse.
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