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Due palazzi alti 100 metri, che occupano 400mila metri quadrati ciascuno e in cui ogni giorno si usano 450 tonnellate di foraggio. Il virologo Burioni: “Il paradiso dei virus”.
È alto come la torre che ospita il Big Ben, si sviluppa su 26 piani e ha spazio a sufficienza per ospitare sino a 600mila maiali. E presto sarà affiancato da un altro, identico in tutto e per tutto, nelle dimensioni e nella capacità.
Questa è la fotografia in numeri del gigantesco allevamento intensivo di suini costruito nella città cinese di Ezhou, che appunto sarà presto abbinato a un altro identico, in grado di raddoppiare i valori produttivi. È quello che in Italia definiremmo un ecomostro, non solo dal punto di vista architettonico (è un blocco di cemento alto 100 metri e che occupa 400mila metri quadrati) ma anche e soprattutto da quello ambientale. È l’apoteosi di quello che non si dovrebbe fare con la produzione di cibo.
La prima struttura è stata inaugurata lo scorso anno ed è già operativa, mentre la seconda è in costruzione e dovrebbe entrare in funzione entro fine 2023: sono una a fianco all’altra e si trovano a Ezhou, metropoli da oltre un milione di abitanti che sta a un’oretta di macchina da Wuhan. Sì, proprio la città da dove a fine 2019 è partita la pandemia di coronavirus.
Dentro, tutto è organizzato con cura e precisione maniacali, con l’unico scopo di massimizzare e velocizzare la produzione di carne. Anzi, tutto è organizzato “come fosse un centro di comando della Nasa”, come ha scritto il New York Times, che ha potuto visitare l’impianto già attivo e ne ha descritto il funzionamento nel dettaglio.
Secondo quanto spiegato, ogni piano funziona un po’ come fosse una fattoria a sé stante: un’area dedicata alle gravidanze e alla nascita dei maialini, una per l’allattamento, una per l’accrescimento (la macellazione dovrebbe avvenire altrove, da quel che si capisce). Tutto questo, solo a partire dal terzo piano, perché i primi due sono dedicati al ricevimento, alla gestione e alla distribuzione dell’acqua e del mangime per gli animali, circa 450 tonnellate al giorno, spostate da un punto all’altro della struttura su enormi nastri trasportatori.
I 24 piani destinati all’allevamento vero e proprio dovrebbero ospitare ciascuno 20-25mila maiali, tenuti sotto controllo anche attraverso un’ampia gamma di sensori, dedicati anche a monitorare la temperatura, l'umidità e l’eventuale presenza di gas tossici negli ambienti. Dopo un periodo tendenzialmente breve (6 mesi, di solito), gli animali vengono poi caricati su giganteschi ascensori e indirizzati verso gli impianti di macellazione.
Non ci sono cifre ufficiali su quanta carne uscirà ogni anno dai due colossali impianti di Ezhou, ma il fatto che possano ospitare contemporaneamente 1,2 milioni di maiali dà abbastanza semplicemente idea della loro capacità. Che dovrebbe aiutare la Cina a risolvere due problemi collegati fra loro: la mancanza di terre libere per agricoltura e allevamenti e l’altissima domanda di carne, in crescita costante a partire dagli anni Novanta del secolo scorso.
Per rimediare in parte al primo problema, la Cina è impegnata da tempo nel cosiddetto landgrabbing (cos’è?), ma per il secondo non c’è soluzione se non aumentare la produzione: secondo stime recenti, il Paese consuma da solo la metà della carne suina del mondo, e per fare fronte a queste richieste, non solo la importa dall’estero, ma anche cerca di farne di più entro i suoi confini. Appunto con allevamenti intensivi come quelli di Ezhou.
Va detto che la Cina produce tanta, tantissima carne per il mercato interno, ma anche tanta ne esporta, soprattutto verso i mercati dell’Asia e di molti Paesi in via di sviluppo. Anche verso l’Occidente, per quanto in misura minore, che è dunque in parte responsabile di questo costante aumento della domanda.
Non è facile capire se e quanta carne made in China arrivi in Italia e dunque sulle nostre tavole: è probabilmente pochissima, ma sicuramente c’è. Lo conferma il fatto che negli ultimi anni, in occasione di varie emergenze alimentari, le nostre autorità sanitarie vietarono l’importazione di carne dalla Cina. Che quindi in condizioni normali viene importata eccome.
Quel che è certo è che dalla Cina compriamo oltre mezzo miliardo di euro di prodotti alimentari l’anno, prevalentemente concentrato di pomodoro, riso, aglio e miele. Che è il motivo per cui negli anni abbiamo invitato i nostri lettori a scegliere con attenzione proprio questi prodotti.
Dal mio punto di vista, un paradiso per i virus. PS: animalisti dove siete? https://t.co/P2sxh7cgBk
— Roberto Burioni (@RobertoBurioni) February 19, 2023
Se abbiamo ricordato che Ezhou è relativamente vicina a Wuhan, un motivo c’è. E il motivo è che dopo il coronavirus, da più o meno la stessa zona della Cina potrebbe arrivare un’altra, pericolosa zoonosi (cos’è?), perché giganteschi allevamenti intensivi come questi ne favoriscono sicuramente lo sviluppo.
Lo ha fatto notare anche il virologo Roberto Burioni, che su Twitter ha condiviso un video dall’alto della struttura, sottolineando che “dal mio punto di vista è un paradiso per i virus” e invitando in qualche modo gli animalisti a farsi sentire.
Il suo tweet ha raccolto oltre 500 like e una cinquantina di retweet, ma decisamente meglio (da questo punto di vista) ha fatto il post su Instagram di Selvaggia Lucarelli, che ha condiviso una foto dell’allevamento ricordando che “in Cina è stato costruito un grattacielo di 26 piani in cui saranno prodotti 1,2 milioni di maiali l’anno” e invitando le persone a una riflessione. La nota opinionista tv ha scritto così: “Non so a che punto sia il vostro percorso di presa di coscienza del problema allevamenti intensivi e consumo massiccio di carne, ma se volete bene al pianeta, agli animali, ai vostri figli, è il momento di abbandonare la spensieratezza nel vostro rapporto col consumo di cotolette, hamburger e bistecche”. Ha racimolato oltre 24mila like e quasi 2mila commenti. Non tutti di complimenti, ovviamente.
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