Dobbiamo sempre affidarci all’etichetta per capire da dove arriva un cibo che stiamo per comprare e se è di qualità, ma con il pesce possiamo fare anche altro.... Leggi tutto
In corso il vertice che dovrebbe decidere i prossimi passi da fare contro il cambiamento climatico: la nostra guida pratica per sapere di che cosa si parla. E immaginare come finirà
Dalla fine di ottobre ne parlano tutti, è il titolo di apertura di praticamente tutti i telegiornali, tanto da scalzare pure il coronavirus e la pandemia dalla cosiddetta agenda mediatica. Sarà l’argomento del giorno per la prossima decina di giorni, almeno sino al 12 novembre, quando si concluderà.
È la Cop26 di Glasgow, la Conferenza sul Clima organizzata dalle Nazioni unite. Ma perché si chiama Cop26? Qual è lo scopo degli incontri e quali sono gli obiettivi? Soprattutto: che c’entra col cibo? Perché se ne parliamo qui su Cucchiaio, evidentemente c’entra col cibo. In questa pagina cerchiamo di dare risposta a queste e altre domande e anche di guardare un po’ oltre e immaginare quello che potrebbe accadere.
La sigla sta per Conference of the Parties (in italiano, Conferenza delle Parti) e in questo caso le Parti sono i Paesi che hanno firmato la Convenzione Onu sui Cambiamenti climatici (in sigla, UNFCCC). La Cop è un organo decisionale, nel senso che quello che viene stabilito è o comunque dovrebbe essere vincolante per gli Stati aderenti alla UNFCCC: tranne che nel 2020, per ovvie ragioni, c’è stata una Cop ogni anno a partire dal 1995, che fu l’anno della Cop1 di Berlino. Quella di Glasgow è la Cop26 appunto perché è la 26esima edizione.
Questo è il punto che ovviamente a noi interessa di più, ma è un punto che dovrebbe interessare tanto a tutti: nel corso dell’ultimo anno e mezzo, abbiamo parlato più volte di come quello che mangiamo influenzi la nostra impronta inquinante. È un problema che ha due facce, collegate fra loro: da un lato, è ormai accertato che la produzione industriale di cibo, soprattutto quello derivato dagli animali, è responsabile del 20-25% dei gas serra emessi ogni anno nell’atmosfera; dall’altro, con la popolazione mondiale stimata in crescita verso quota 10 miliardi, è evidente che per soddisfare le necessità alimentari di tutti non si potrà produrre e consumare cibo come abbiamo fatto sinora.
A Glasgow ne sono consapevoli, visto che i primi impegni presi riguardano in qualche modo proprio questo argomento:
Tre link per approfondire la questione del rapporto fra cibo e inquinamento:
- Quello che mangiamo è quello che inquiniamo
- Quanto inquina la produzione di cibo, spiegato con i numeri
- Se mangiano le alghe, le mucche inquinano meno: ecco perché
Come detto, alle conferenze Cop partecipano (o dovrebbero partecipare) rappresentanti di tutti i Paesi che hanno firmato la Convenzione UNFCCC. Non è sempre stato così e nemmeno è così quest’anno: a Glasgow non si sono presentati Messico, Portogallo, Sudafrica e Turchia e soprattutto Brasile, Cina e Russia. È un problema per varie ragioni:
I negoziati in Scozia hanno come obiettivo principale quello che è stato l’obiettivo di più o meno tutte le precedenti Cop: convincere i Paesi a impegnarsi per azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e limitare l’aumento delle temperature a 1.5 gradi rispetto all’era preindustriale, considerato il limite da non superare per evitare danni irreparabili alla Terra. L’idea è di farlo per gradi, con piani di riduzione delle emissioni entro il 2030 per scendere a zero entro il 2050: nella pratica, questi piani possono riguardare l’abbandono del carbone come fonte di energia, investimenti nelle rinnovabili, sostegno alla mobilità green, tutela degli habitat naturali e delle biodiversità (come ci ha ricordato il WWF, “l’80% delle specie animali che sono a rischio, lo sono per agricoltura e allevamento”) e appunto riduzione della deforestazione.
Il limite degli 1.5 gradi (che probabilmente salirà a un più realistico +2) è quello stabilito nel 2015 alla Cop21 di Parigi, quando tutti i Paesi presenti, compresa la Cina, accettarono di collaborare su questo. Che è poi quello che intendevamo all’inizio scrivendo che le Cop sono un organo decisionale e vincolante.
Il problema è che sarà difficile arrivare a un accordo complessivo e risolutivo, mentre è più probabile che ci siano tanti, piccoli accordi su specifiche questioni. Come appunto la deforestazione e il metano.
Non è questione di pessimismo, ma di realismo: le Cop si fanno da 25 anni sempre allo stesso scopo, dunque sono oltre due decenni che ci sentiamo dire che “il cambiamento climatico è un problema grave e da risolvere”, senza però che si arrivi a una soluzione. Inoltre, l’assenza di Brasile, Cina e Russia e la poca collaborazione dell’India non fanno sperare per il meglio: il Paese di Xi Jinping ha fatto sapere che non ha intenzione di andare a emissioni zero nel 2050, ma (forse) nel 2060 e l’India addirittura nel 2070. La loro giustificazione è sempre la stessa: “Negli ultimi 200 anni, voi occidentali avete inquinato tantissimo per crescere e adesso tocca a noi farlo”. È giusto questo ragionamento? In linea teorica sì ma nella pratica no, perché le condizioni ambientali di oggi non sono più quelle del 1800. È vero però che noi occidentali dovremmo dare il buon esempio, che è il motivo, tornando al cibo, per cui tempo fa Bill Gates disse che “nei Paesi sviluppati si dovrebbe mangiare solo carne sintetica”, riducendo la nostra domanda di cibo derivato dagli animali per permettere ai Paesi in via di sviluppo di poter soddisfare la loro.
Per una volta speriamo di sbagliarci, ma le prospettive non sono rosee: l’ultimo report dell’UNFCCC sugli impegni presi dai singoli Stati per il clima (è del 25 ottobre) stima che applicandoli tutti insieme, nel 2030 le emissioni di gas serra cresceranno del 16% rispetto al 2010. Capito? Anche facendo tutto quello che i Paesi hanno promesso di fare sinora, la situazione peggiorerebbe comunque, con un aumento della temperatura media globale di 2.7 gradi entro fine secolo. Per stare davvero sotto quel fatidico +1.5, le emissioni dovrebbero scendere del 45%. Ed è a questo obiettivo che dovrebbero puntare i negoziatori presenti a Glasgow.
🔥 Basta BLA BLA BLA #ClimateAction https://t.co/OGrKh0SG70
— Fridays For Future Italia (@fffitalia) September 30, 2021
Quelle espresse sin qui sono le ragioni per cui quella che è forse la più nota esponente della lotta al riscaldamento globale, cioè la giovane attivista Greta Thunberg, non solo ha raccontato che “non sono stata invitata ufficialmente” ma si è schierata apertamente contro i partecipanti alla Cop26, con gli ormai celebri riferimenti al “continuo e inutile bla bla bla”, all’abuso di “greenwashing e bella retorica” e all’apparente “abbandono dell’obiettivo degli 1.5 gradi”.
A calmare la 18enne svedese non è evidentemente bastato aver incontrato Draghi o Antonio Guterres, segretario dell’Onu, o essere stata citata da Boris Johnson, primo ministro britannico: è talmente insoddisfatta che ha organizzato uno sciopero del clima per venerdì 5 e una marcia per sabato 6, entrambe a Glasgow nella zona di Kelvingrove Park.
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