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Rendere più sostenibile l’agricoltura è un obiettivo importante per il futuro, senza ridurre però la produzione alimentare. La no-till farming può avere in questo un ruolo di primo piano: ecco di cosa si tratta
Il 26% delle emissioni totali di gas serra deriva dal settore agricolo: a contribuire sono diversi fattori, dagli scarichi dei trattori ai fertilizzanti che producono ossido d’azoto, a cui si aggiunge l’abbattimento di foreste per fare spazio ai campi. Ma anche la lavorazione del terreno, dissodato con aratri e altri strumenti, provoca effetti dannosi, poiché porta in superficie il carbonio che viene quindi convertito dai microbi in anidride carbonica. Fortunatamente tutto questo non è inevitabile ed è importante favorire la diffusione di metodi alternativi, più sostenibili, come la cosiddetta no-till farming, o no tillage, letteralmente “agricoltura senza lavorazione” o “senza aratura”. Per capire quale potrebbe essere il suo ruolo e perché è così importante svilupparla su larga scala, però, bisogna fare un passo indietro per osservare il settore agricolo nel suo complesso.
L’agricoltura è un settore chiave, forse il più essenziale di tutti, per la nostra sopravvivenza. In essa, infatti, sta la capacità di resistenza del sistema alimentare globale all’urto di una popolazione che nel 2050 potrebbe raggiungere i 10 miliardi di persone, fornendo quindi cibo sano e in quantità sufficiente per tutti, a partire dai bambini e dalle donne in gravidanza, dato il ruolo cruciale del nutrimento per lo sviluppo e la salute di donna e feto in quella fase della vita. Proprio per questo negli ultimi tempi si stanno sperimentando tecniche innovative, tra cui quella verticale, che permette di sfruttare in modo razionale gli spazi per aumentare la produzione agricola ed è ormai una realtà consolidata che vi abbiamo illustrato in L’agricoltura verticale per coltivare sempre e ovunque: da Dubai a San Francisco, a Milano.
Ma dipende (anche) dall’agricoltura la nostra possibilità di ridurre le emissioni di gas serra, che un ruolo tanto grande hanno nel cambiamento climatico che oggi ci minaccia. Uno dei maggiori problemi che attanagliano attualmente il comparto è infatti proprio la sua sostenibilità ambientale: non possiamo permetterci di continuare a produrre cereali, ortaggi, patate e mangimi per animali da allevamento a prezzo di sovrasfruttare sconsideratamente le risorse naturali, dai suoli all’acqua, all’aria che respiriamo. Quando lo facciamo, infatti, la Natura ci presenta il conto, e anche molto salato. Proprio per questo è niente meno che l’ONU a sottolineare l’importanza, per il futuro, di implementare sistemi agricoli che siano produttivi, ma allo stesso tempo meno dispendiosi, più sostenibili e integrati, cioè caratterizzati da un approccio olistico che guardi a terreno, acqua e altre risorse come un insieme da mantenere in equilibrio.
Per fare questo esistono varie opportunità – in qualche caso anche combinabili tra di loro – diverse rispetto al modello agricolo oggi dominante, cioè quello dell’agricoltura convenzionale, intensiva e monocolturale, fondata su un largo impiego di pesticidi e fertilizzanti chimici. Un modello che ancora oggi garantisce la gran parte della produzione mondiale ma che, per il bene della Terra (e quindi di noi stessi) sarebbe bene abbandonare sempre di più.
Tra le opportunità c’è proprio quella, particolarmente interessante, rappresentata dalla no-till farming. Si tratta di un metodo che prevede il minore intervento possibile da parte dell’uomo, cosa che apporterebbe dei benefici, soprattutto sul lungo periodo, grazie alla conservazione del suolo e al mantenimento dell’equilibrio delle sue diverse componenti. I risultati più notevoli si hanno in combinazione con altri tipi di lavorazione sostenibile, come l’agricoltura conservativa, che, grazie alla pacciamatura – cioè alla copertura con i residui della coltura precedente – contrasta il fenomeno dell’erosione dei terreni superficiali, purtroppo diffuso sui terreni agricoli, specialmente se in pendenza. Questa combinazione permetterebbe addirittura di dimezzare il consumo energetico necessario a produrre 1 kg di grano, rispetto alle pratiche convenzionali. Le sperimentazioni in questo campo impiegano, poi, la semina di legumi – che, come vi abbiamo ricordato, sono magici fertilizzanti naturali – per ridurre l’utilizzo di fertilizzanti azotati e puntano anche a ridurre la quantità di carburante necessaria a coltivare un campo nel complesso delle varie fasi.
L’agricoltura no-till, praticata semplicemente tramite una macchina che realizza i fori di semina nel terreno, potrebbe avere grossi vantaggi su più fronti, come ha rilevato uno studio condotto in Regno Unito. Trattandosi di una tecnica agricola che non disturba il suolo e prevede di mettere i semi in semplici buchi nel terreno, infatti, aiuterebbe a ridurre le emissioni di gas serra aumentando, invece, la quantità di carbonio che i suoli sono in grado di immagazzinare. L’opposto, quindi, dell’agricoltura convenzionale, in cui si creano una sorta di sacche d’aria nel terreno che si riempiono d’ossigeno, favorendo così la creazione di anidride carbonica da parte dei microbi. Il metodo “senza aratura”, inoltre, è positivo anche perché le radici crescono indisturbate, potendo così cercare l’acqua più in profondità: per questo i campi coltivati in questo modo poco invasivo necessitano di una minore irrigazione, un fattore molto importante in vista di stagioni sempre più siccitose. E questo senza portare in superficie il carbonio prodotto dalla decomposizione delle piante, che resta quindi accumulato nel suolo. Ma la cosa forse più sorprendente è che le emissioni prodotte dai campi lavorati (si fa per dire) con il metodo no-tillage sono inferiori del 30% in totale rispetto ai campi convenzionali, calcolando anche gli altri gas serra che i microbi del terreno possono comunque continuare a produrre, come il metano, un grandissimo contributore dell’effetto serra.
E se questi vantaggi per il clima non bastassero, ci sono anche quelli relativi all’organizzazione e al carico di lavoro degli agricoltori: con l’agricoltura no-till, infatti, sono necessarie meno preparazioni e meno macchinari, per una riduzione notevole dei costi. Nonostante questo, purtroppo in Europa il metodo è ancora poco diffuso, anche per alcuni timori di un eventuale calo delle rese; non si tratta di un timore del tutto campato per aria, dato che i semi inizialmente potrebbero avere qualche difficoltà a germogliare in un terreno più compatto. Lombrichi e radici, però, vengono fortunatamente in supporto, aiutando il terreno ad acquisire una composizione ideale, che nel lungo periodo rende i terreni coltivati in questo modo più stabili, resistenti – grazie alla presenza indisturbata di radici e reti fungine, che invece le lavorazioni più intrusive spesso distruggono – e più ricchi di vita; anzi, più tempo passa, meglio è: sia in termini di rese che di riduzione delle emissioni, più passano gli anni più migliorano le prestazioni di un campo non arato.
Questo metodo potrebbe trovare una vasta applicazione anche in Italia, specialmente al Sud, essendo particolarmente adatto, ad esempio, alla coltivazione di frumento. È un’ottima notizia, perché questo prodotto, base dell’alimentazione di miliardi di persone al mondo, non solo è tassello immancabile di tanti prodotti tradizionali italiani – e potete averne un’idea scorrendo le nostre proposte – ma ha anche ottime proprietà nutrizionali ed è saziante; se, ovviamente, nutrirsi di grano non permette di avere un’alimentazione equilibrata, può, però, essere la base di partenza e un cuscinetto di sicurezza contro il rischio di soffrire la fame.
Incoraggiare queste nuove pratiche agricole potrebbe davvero fare la differenza nei prossimi anni. L’ONU, infatti, raccomanda di mettere in campo (letteralmente) delle pratiche agricole sostenibili, che impieghino meno sostanze nocive, per non nuocere alla biodiversità – impollinatori compresi, la cui importanza vi abbiamo ricordato in Gli impollinatori, indispensabili alleati di cui non possiamo fare a meno – e ridurre il fabbisogno d’acqua del comparto agricolo. Il suolo su cui camminiamo è un alleato importante e un nodo chiave di tutto questo, una vera e propria risorsa molto spesso sottovalutata.
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