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Un prodotto che può essere scomposto in sottoprodotti innocui (per l’ambiente) grazie all’azione di batteri o altri microrganismi. Barnhart e Metcalf, 1961
È un termine ormai entrato nel linguaggio comune e che si usa anche quotidianamente, il cui concetto ha avuto origine alla fine degli anni Venti, con le prime applicazioni industriali della plastica e soprattutto della cosiddetta bioplastica. Che era (ed è tuttora) una plastica a base biologica e che appunto può essere biodegradabile.
La parola in sé, e il suo uso per come la intendiamo adesso, cioè riferita a qualcosa che, disperso nell'ambiente, si decompone facilmente in composti meno inquinanti, risale però al 1961, quando comparve per la prima volta in un volume dedicato alla microbiologia industriale. Secondo il Merriam-Webster, il più antico e celebre dizionario in lingua inglese, è biodegradabile “cioè che può essere scomposto in prodotti innocui grazie all'azione di esseri viventi come i microrganismi”.
Al giorno d’oggi, il termine è associato comunemente a prodotti anche di origine industriale ma rispettosi dell’ambiente e in qualche modo capaci di tornare alla natura lasciando una carbon footprint pari a zero o comunque molto ridotta. Nella pratica e semplificando, la biodegradazione avviene grazie all’azione di microrganismi come batteri e funghi, che sono in grado di decomporre un oggetto o un liquido sino a riportarlo allo stato inorganico e a scomporlo in sostanze semplici come anidride carbonica o acqua. Questo processo si chiama mineralizzazione e permette al prodotto di “tornare alla natura” perché queste stesse sostanze semplici (come la CO2) possono a loro volta essere usate dalle piante per creare nuova vita attraverso la fotosintesi.
Il procedimento è talmente utile che viene provocato dall’uomo per ripulire zone colpite da catastrofi ambientali: accadde nel 1989, quando la petroliera Exxon Valdez si incagliò al largo dell’Alaska, e anche nel 2010, quando la piattaforma di trivellazione Deepwater Horizon andò in fiamme nel golfo del Messico. In entrambi i casi, vennero usati quelli che i giornali chiamarono “batteri spazzini” per rimuovere la massa di greggio. È importante capire che non tutto ciò che è biodegradabile lo è allo stesso modo: se per un filone di pane basteranno un paio di settimane, per un pezzo di carta possono servire anche un paio di mesi e per alcuni cartoni del latte addirittura 4-5 anni.
Dal punto di vista linguistico, biodegradàbile (con accento grave sulla seconda a) è un aggettivo composto dalle parole “bio” e “degradare” e secondo la Treccani si riferisce a “sostanza o prodotto che può subire la degradazione biologica o biodegradazione”. Nell’inglese “biodegradable” è interessante notare come la radice “grad”, che indica un movimento verso l’alto o un aumento, sia qui preceduta dal prefisso “de”, a significare dunque un movimento discendente o un abbassamento, cioè tipico di qualcosa che può essere diminuito, ridotto e scomposto sino a riportarlo al suo stato originario e inorganico.
Fridovich-Keil J. L., Bioplastic (Enciclopedia Britannica)
David K. Barnhart D. K., Metcalf A., America In So Many Words: Words That Have Shaped America (HarperCollins, 1999)
AA. VV., Biodegradable (Merriam-Webster Dictionary)
AA. VV., Biodegradàbile (Treccani)
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