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Vi spieghiamo il significato del termine greenwashing, una parola molto attuale che indica un impegno di facciata - soprattutto da parte delle aziende - nella causa ambientalista.
Le azioni di chi, per opportunismo, finge di essere attento all'ambiente ma in realtà non sta compiendo sforzi di sostenibilità degni di nota. Westerveld, 1986
Negli ultimi anni, l’attenzione verso le tematiche ambientali è cresciuta tantissimo, da parte delle singole persone, delle istituzioni e pure delle aziende: c’è chi è sinceramente preoccupato dall’emergenza e si dà da fare per contrastarla e chi la ritiene un’occasione per fare business e guadagnare. Il concetto di greenwashing è tutto qui, in chi prova a “dare una mano di verde” alle sue attività ma senza azioni concrete che abbiano effetti veri e tangibili. È il fumo senza l’arrosto, insomma.
Il primo uso del termine si deve all’ambientalista americano Jay Westerveld: lo utilizzò in un saggio pubblicato nel 1986 dedicato all’abitudine degli hotel di lasciare nelle camere avvisi per invitare i clienti a riutilizzare gli asciugamani invece di chiederne il lavaggio, “così da salvare l’ambiente”. Succede ancora oggi, ma secondo Westerveld gli hotel potrebbero fare molto di più per l’ambiente (per esempio nella riduzione dei consumi energetici) e quello che fanno con gli asciugamani “lo fanno solo per risparmiare sui costi di lavanderia”. Insomma: “Il vero obiettivo è l'aumento del profitto”, e questo e altre azioni, redditizie ma inefficaci dal punto di vista della sostenibilità, sono ottimi esempi di greenwashing.
Del tema si discute in qualche modo già dalla seconda metà degli anni Sessanta (il pubblicitario americano Jerry Mander parlò di “ecopornografia” per definire quello che le compagnie facevano per darsi un’immagine più verde), ma è appunto dagli anni Ottanta che questa parola inizia a diffondersi. Fu greenwashing la campagna People Do pensata nel 1985 dalla compagnia petrolifera Chevron e lo fu quella messa in piedi nel 2005 da British Petroleum per invitare le persone a ridurre la loro carbon footprint. Fingendo di non sapere quanto grande fosse la sua. Al giorno d’oggi, questo è esattamente quello di cui parla Greta Thunberg quando si lamenta del fatto che “sono 30 anni che sentiamo solo bla bla bla” sul cambiamento climatico e invita i capi di Stato ad agire, invece di “trarre profitto da questa distruzione”.
Dal punto di vista linguistico, il termine greenwashing è una crasi delle parole inglesi “green” (verde) e “washing” (gerundio del verbo lavare) e deriva dal più noto whitewashing, usato dalla fine del 1500 per indicare il gesto di dare una ripulita veloce e superficiale a un ambiente per farlo sembrare migliore. Letteralmente “dare una mano di bianco”, è quello che noi oggi intendiamo con “dare una rinfrescata” a una casa o a un appartamento. Un altro termine simile e che ha sempre significato negativo è blackwashing, cioè usare attori di colore per interpretare personaggi storicamente di altra etnia solo per raccogliere i favori della critica (celebre il caso dell’Achille afroamericano nella miniserie “Troy” del 2018).
In Italia, la parola greenwashing (insieme con greenwashed) è entrata nel 2020 nel Dizionario Garzanti e nel 2021 fra i neologismi della Treccani, che la definisce così: “Strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”.
Motavalli, J., A History of Greenwashing: How Dirty Towels Impacted the Green Movement (AOL, 2012)
Black, B., Lybecker, D. L., Great Debates in American Environmental History (Greenwood Press, 2008)
AA. VV., Greta Thunberg slams COP26 as “greenwashing failure” (DW, 2021)
Sgroi, S. C., Green Pass e altri stranierismi (Accademia della Crusca, 2021)
AA. VV., Greenwashing (Treccani, 2021)
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