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Cosa significa sviluppo sostenibile, e quali passi sono già stati fatti per raggiungerlo.
Soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future. Brundtland, 1987
Sostenibilità è forse la parola che più si sente dire da 2-3 anni a questa parte, in contesti a volte anche sorprendenti, ma il concetto di sviluppo sostenibile risale a molto tempo prima e sta per compiere 35 anni. Era la fine del 1987, quando l’Onu pubblicò Our Common Future, conosciuto anche come Rapporto Brundtland, dal nome di Gro Harlem Brundtland, che allora presiedeva la Commissione mondiale sull'Ambiente e lo sviluppo e anche è stata 3 volte premier della Norvegia. Nel volume era contenuta la prima definizione di sviluppo sostenibile, che si può leggere in cima a questa pagina.
È interessante notare come in quella frase non si facesse specificamente menzione del clima e dei suoi cambiamenti, ma solo in generale dei bisogni delle persone e del loro benessere. Anche se il concetto era implicito: oggi sappiamo che vivere in un ambiente confortevole e sano contribuisce decisamente al benessere, tanto che chi vive circondato da una natura poco accogliente può arrivare a soffrire di solastalgia. Del resto, gli obiettivi del Rapporto Brundtland erano sostanzialmente tre:
- riesaminare i problemi dell'ambiente e dello sviluppo e formulare proposte di azione innovative, concrete e realistiche per affrontarli;
- rafforzare la cooperazione internazionale in materia di ambiente e sviluppo e valutare nuove forme di cooperazione fuori dagli schemi per influenzare le politiche in direzione di un necessario cambiamento;
- concentrare l’attenzione su popolazione, sicurezza alimentare, perdita di specie e risorse genetiche, energia, industria e insediamenti umani, rendendosi conto che sono collegati e non possono essere trattati separatamente l'uno dall'altro.
Negli anni, questo impegno ha portato ad altri passi significativi, come l’organizzazione del primo Earth Summit (Rio de Janeiro, 1992) e soprattutto l’adozione dell’Agenda 21, il programma di sviluppo sostenibile stilato dall’Onu, che fissa gli obiettivi per il 21esimo secolo. Legati a questo, la Convenzione Onu sui Cambiamenti climatici (Rio de Janeiro, 1994), il Protocollo di Kyoto (1997) e ovviamente gli Accordi di Parigi, siglati fra 2015 e 2016.
In tutti i casi, l’idea era quella di muoversi in direzione della cosiddetta economia circolare, quella che punta a creare cose nuove dai resti di quelle vecchie, riducendo sprechi e rifiuti. Appunto in modo che la soddisfazione delle necessità delle generazioni presenti non ostacoli quella delle generazioni future, che dunque avranno ancora risorse da utilizzare.
In Italia, questi concetti si sono concretizzati nel 1993, quando il ministero dell'Ambiente ha messo a punto il Piano nazionale per lo Sviluppo sostenibile, proprio per l'attuazione dell'Agenda 21, e poi ancora con il Dl 152 di aprile 2006, che ha fissato norme anche in materia di gestione dei rifiuti; negli anni successivi sono stati adottati anche altri provvedimenti, legati alla sostenibilità della Pubblica Amministrazione e alla sensibilizzazione dei più giovani, attraverso la scuola.
AA.VV., Our Common Future (Oxford University Press, 1987)
AA.VV., Agenda 21 Earth Summit: United Nations Program of Action from Rio: Earth Summit, The United Nations Programme of Action from Rio (United Nations, 1992)
AA.VV., United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc, Convenzione Onu sui Cambiamenti climatici), dal 1994
Sebastian O., Hermann E. O., The Kyoto Protocol, International Climate Policy for the 21st Century (Springer, 1999)
Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale (Gazzetta Ufficiale, 2006)
AA.VV., Accordi di Parigi (United Nations, 2016)
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