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Il nemico numero uno delle banane è la malattia di Panama, causata da un fungo. L'ultima variante, chiamata Tropical Race 4, colpisce le banane Cavendish, che sono la varietà più esportata al mondo. Mentre cerchiamo di contenere questa pandemia, i ricercatori lavorano a una nuova varietà resistente, sia con metodi tradizionali sia biotecnologici.
Le banane non sono più quelle di una volta. Fino agli anni ‘50 importavamo quelle della varietà Gros Michel. Il frutto era delizioso, si sbucciava a meraviglia, e resisteva bene al trasporto. Oggi le Gros Michel sono scomparse dai negozi e le banane Cavendish hanno preso il loro posto. Questa storia sembra però destinata a ripetersi: le banane di oggi non saranno quelle di domani.
Tutta colpa di un fungo patogeno (nome scientifico: Fusarium oxysporum f. sp. cubense): una volta penetrato nel banano causa la malattia di Panama, che avvizzisce la pianta fino a ucciderla. La Gros Michel era molto sensibile al fusarium, e quando arrivò nelle coltivazioni mise in crisi l’industria. Per fortuna un’altra varietà, con caratteristiche paragonabili, sembrava immune alla malattia: così cominciò l’ascesa delle Cavendish che da allora usiamo nei nostri piatti.
Nel frattempo però il fungo è mutato. Dopo Tropical Race 1, la variante che ha distrutto Gros Michel, ne sono emerse altre. E purtroppo nemmeno le Cavendish resistono alla Tropical Race 4 (TR4). La variante è nota dal 1997: se troviamo ancora le banane al supermercato è perché la sua espansione dall’Asia è stata ostacolata da rigide misure di quarantena e contenimento. Anche così la variante ha continuato a guadagnare terreno. La FAO, che coordina l’azione globale contro il patogeno, spiega che la variante nel 2013 è arrivata in Africa e nel 2019 in America latina. Ma questa volta non abbiamo pronta una varietà sostitutiva per sostenere l'export.
Avete mai visto un seme nelle banane che mangiate? No, perché le varietà coltivate, a differenza di quelle selvatiche, danno frutti quasi sempre sterili. Gli individui di una piantagione sono tutti ottenuti per talea, o altri metodi di clonazione. Il prezzo da pagare di questa standardizzazione è una bassa diversità genetica che riduce la resistenza alle malattie. Se un patogeno riesce a uccidere una pianta allora può ucciderle tutte, perché sono identiche.
Ma senza semi è anche molto difficile creare nuove varietà, che richiedono l’incrocio tra piante diverse. Non è però impossibile, altrimenti non esisterebbero le banane: in 10.000 anni di storia (è stata tra i primi frutti addomesticati) ne sono state ottenute un migliaio di varietà. Molto raramente, anche le varietà con frutto sterile danno semi fertili, quindi si può usare il polline di una varietà compatibile e usarlo per fecondare in modo mirato i fiori di un’altra varietà. Da una tonnellata di frutta prodotta da queste piante si raccoglierà appena un pugno di semi, di cui ne germoglierà solo la metà. Ma tra questi individui potrebbe esserci una varietà interessante, persino un erede delle Cavendish.
Un’altra via per creare la nostra prossima banana passa dalle biotecnologie. Esistono già banane OGM di tipo Cavendish resistenti a TR4 grazie a un gene aggiuntivo prelevato da una specie selvatica. Oppure è possibile modificare direttamente il DNA della banana con le tecniche di editing genomico, come la famosa CRISPR/cas9, premiata col Nobel nel 2019. A differenza di un OGM tradizionale, in questo caso non si usa DNA “estraneo”. Nessuna di queste banane biotech è ancora sul mercato, e le leggi attuali non ne permetterebbero ovunque il commercio, a differenza di quelle ottenute in modo tradizionale. Un’altra incognita è il gradimento da parte dei consumatori. Biotecnologica o meno, dovremo abituarci all’idea di dire addio alle solite Cavendish e accettare una (o più) varietà alternative. La malattia di Panama non è curabile, il fungo che la causa rimane nel suolo a lungo, e prima o poi TR4 arriverà dove non è ancora arrivato.
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