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Vi aggiorniamo sulla "vita" delle nostre amiche impollinatrici e raccontiamo come si estrae il miele, attraverso il processo della smielatura.
Dopo circa due mesi, ecco arrivato il momento più atteso: quello della raccolta del miele. Durante questo periodo, le api del Cucchiaio hanno avuto modo di esplorare e familiarizzare con il nuovo habitat e di trovare le piante adatte al loro nutrimento e quindi alla produzione del prezioso nettare.
Abbiamo svolto l’operazione di estrazione con l’aiuto del signor Luciano Mazzola, l’apicoltore che sta seguendo con noi i due alveari nelle arnie urbane B-BOX posizionate nel giardino di Editoriale Domus. Prima di raccontarvela, però, vi informiamo sulla loro salute: come stanno le nostre api? Possiamo dire con gioia che conducono una buona vita (nonostante il clima non abbia risparmiato giornate afose e rovesci quasi tropicali): non presentano malattie, non si è verificata nessuna moria - potevano, per esempio, soffrire di qualche diserbante o pesticida trasportato nell’aria dai dintorni - e le regine hanno garantito delle buone covate. Considerando l’importanza che hanno gli insetti impollinatori per il nostro ecosistema, siamo contenti che stiano bene!
Il processo che va dall’estrazione del miele dall’arnia all’essere pronto per il consumo si chiama smielatura.
Per essere estratto e utilizzato come alimento, il miele deve essere maturo. Significa che il nettare raccolto dalle api deve aver raggiunto un certo livello di umidità, che si attesta solitamente tra il 16% e il 18% in un tempo variabile, a seconda di diversi fattori, che vanno dal clima esterno all’alveare al tipo di miele immagazzinato. Quando le api ripongono il nettare nelle cellette dei favi, questo presenta un grado di umidità molto più alto, che arriva anche all’80%: sono le api ventilatrici che, con lo sbattere delle proprie ali, hanno il compito di asciugarlo, contribuendo così a trasformarlo in ciò che noi chiamiamo miele. Una volta riempite, le celle vengono sigillate dalle api operaie con la cera, (che è una secrezione delle loro ghiandole ipofaringee e mascellari) con un’operazione che viene definita opercolatura, così che il miele possa essere conservato - e ancora ci stupiamo del livello di organizzazione e collaborazione di questi insetti!
Il miele che viene raccolto per il nostro uso è un surplus rispetto a quello che le api utilizzano per la propria sopravvivenza e viene riposto in una parte rimovibile dell’alveare, chiamata melario, che si compone di telaini all’interno dei quali le api costruiscono i favi. La rimozione dei favi consiste nel togliere dall’arnia questi telaini, sostituendoli subito con degli altri, cosicché le api possano riprendere il loro lavoro di approvvigionamento.
A questo punto si procede alla fase successiva: la disopercolatura. Ovvero l’eliminazione dello strato di cera che tappa le cellette, così da far fuoriuscire il miele. Si tratta di un’azione non complicata che si può compiere avvalendosi di una spatola o di un raschietto.
Il miele di produzione casalinga com’è quello che si ottiene con l’arnia urbana B-BOX è già pronto per essere gustato espresso dal favo, con tanto di cera. Come ci spiega Mazzola, la cera è assolutamente commestibile e, anzi, ha delle proprietà che possiamo sfruttare: per esempio è un inibitore contro la gastrite.
Per avere il miele in purezza, senza tracce di cera, si passa alla fase di smielatura vera e propria, ma ci si deve avvalere di uno strumento chiamato smielatore. Ovviamente ce ne sono di varie fogge e dimensioni, più moderni o meno, manuali o meccanici a seconda delle necessità di utilizzo, ma si tratta fondamentalmente di una grande centrifuga che una volta in movimento separa tutto il miele dai melari, per raccoglierlo attraverso una bocchetta nel contenitore prescelto. Poi dovrà decantare per circa 20 giorni, al fine di eliminare tutta la cera in eccesso. Nel nostro caso, lo smielatore è manuale e apparteneva al nonno del signor Luciano: non vi abbiamo detto, infatti, che per lui l’apicoltura è un “affare di famiglia”, tanto che anche il figlio mantiene viva l’eredità.
A questo punto la domanda sorge spontanea: quanto miele hanno prodotto, fino a ora, le api del Cucchiaio? E inoltre, di quale tipo? Come ci fa notare in modo simpatico il signor Luciano, le api con noi sono state “un po’ tirchiette”, regalandoci 8 kg di miele. Ciò è dovuto al fatto che essendo arrivate a primavera inoltrata non hanno potuto sfruttare appieno la stagione più propizia per piante e fiori: le perdoniamo!
Appena il miele sarà pronto, manderemo in un laboratorio specializzato alcuni campioni per farne analizzare la composizione, ma a vedere la flora che circonda la sede di Editoriale Domus, si può ipotizzare che sia un miele millefiori, composto da tiglio, rovo e ailanto. Ovviamente lo abbiamo assaggiato e non ci resta che sperimentarlo in qualche ricetta... anche se vi assicuriamo che così al naturale, su una fetta di pane casereccio o nello yogurt è buonissimo!
Intanto le api non hanno certo smesso la loro attività: resteranno con noi fino a ottobre. C'è quindi tutto il tempo per darvi altri aggiornamenti sulla loro vita.
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