Abbiamo incontrato Keita, giovane cuoco della Guinea, che ci ha raccontato e cucinato un piatto simbolo sia delle sue origini sia della filosofia del mosso. Leggi tutto
La struttura sta ai margini del Parco Trotter di Milano e si occupa di accoglienza e impiego di persone svantaggiate: l’abbiamo visitata e ve la raccontiamo. Perché merita di essere raccontata.
In Marilyn ha gli occhi neri, un bel film italiano del 2021, gli attori Stefano Accorsi e Miriam Leone aprono un ristorante clandestino nella sede di un centro per l’accoglienza di persone con disagi mentali.
Ecco, mosso è più o meno la stessa cosa. Solo che “qui è tutto legale”, come ci ha detto sorridendo Beatrice Ortolani, , responsabile del progetto mosso per la cooperativa sociale La fabbrica di Olinda, capofila dell’ATI che gestisce la struttura
mosso, scritto minuscolo perché “non prendiamo il nome dalla via dove stiamo ma dall’aggettivo che descrive chi non si ferma mai, il mare agitato, una foto sfocata e però bella”, è nella zona est di Milano, poco fuori dalla Circonvallazione e ai margini del Parco Trotter: è un ristorante, una pizzeria, una sede per concerti e convegni e anche un centro diurno per adolescenti.
Ha aperto il 16 giugno 2022, ma la sua storia è iniziata parecchio prima: il Parco Trotter, che sino agli anni Venti del secolo scorso fu un ippodromo (come forse si capisce dal nome), venne successivamente acquistato dal Comune e trasformato nella Casa del Sole, una scuola per bambini affetti da tubercolosi. A partire dagli anni Settanta, il parco venne aperto al pubblico negli orari non scolastici, ma l’istituto rimase dov’era (non più riservato solo ai malati di TBC).
La struttura, che è oggettivamente immensa, è stata rimodernata negli anni recenti con il sostegno economico della Fondazione Cariplo: 4 padiglioni sono rimasti una scuola, gli altri 4 sono stati messi a bando nel 2018. Ortolani ci ha raccontato che “l’abbiamo vinto a maggio 2019 insieme con una ATI, un’associazione temporanea di imprese, abbiamo firmato l’accordo nel 2021 e lo abbiamo in gestione per 17 anni, come punto di comunità. Qui si pratica l’inserimento lavorativo, come Diego e Clara, per tornare al film citato all’inizio.
E però, mosso è decisamente più grande (e molto più bello e curato) del ristorantino romano dei due protagonisti del film di Simone Godano: sono circa 3mila metri quadrati, che abbiamo potuto visitare e che sono appunto divisi in 4 padiglioni.
Il padiglione 8 è diventato un bar, con tavolini all’aperto dove vengono serviti aperitivi e che soprattutto lavora come una sorta di portierato di quartiere, con sportelli di consulenza per le questioni più diverse, dalla ricerca di un idraulico all’assistenza per problemi con il pagamento delle bollette.
Il padiglione 1 è il cuore di tutto: è un bar, un ristorante e una pizzeria, con 120 coperti all’interno più un giardino esterno; funziona anche come scuola per addetti alla sala e per baristi e al piano superiore ospita un centro di formazione professionale dove vengono organizzati corsi gratuiti per disoccupati per il reinserimento al lavoro.
Il padiglione 2 è insieme l'enorme cucina del mosso e una ciclofficina e un’attrezzeria (sì, i due ambienti sono ovviamente separati), con tutor che insegnano alle persone a riparare gli oggetti e a crearli; al piano superiore c’è il centro diurno per adolescenti di famiglie fragili, dove ragazze e ragazzi possono pranzare e fare i compiti e dove anche vengono organizzati incontri di ricongiungimento famigliare.
Infine, nel padiglione 1 c’è un altro bar e soprattutto una sala per concerti, eventi culturali, presentazione di libri e dj-set, con una capienza di 150 persone e che in questi mesi ha ospitato nomi come Francesca Michielin, Michele Bravi, Morgan e Levante; al piano di sopra c’è una sala per banchetti e conferenze, che può anche essere affittata dalle aziende per i loro eventi.
Come detto, mosso è stato inaugurato lo scorso giugno e sta per compiere un anno: fra la firma dell’accordo e la reale apertura al pubblico è passato tanto tempo perché “ne è servito tanto per fare i lavori all’interno, con i lockdown che non hanno certo aiutato a velocizzare il cantiere - ci ha raccontato Ortolani -. E perché c’è sempre tanta burocrazia in mezzo, tanti permessi da chiedere e ottenere”.
E c’è anche da farsi accettare dalle persone del quartiere: “Quando abbiamo iniziato, abbiamo ricevuto una lettera di sostegno da 40 associazioni della zona, che sono state coinvolte nella progettazione degli spazi e in qualche modo ci hanno dato così il loro benvenuto e il loro via libera”. Ortolani ammette che “ogni tanto facciamo rumore, facciamo casino e qualcuno si lamenta” (con i concerti non potrebbe essere altrimenti), però “abbiamo acceso una luce in un luogo che prima era buio, dove c’erano criminalità, sporcizia e degrado”. Questo ha avuto effetti benefici un po’ su tutta la zona di via Padova: “Abbiamo attirato l’attenzione del Comune su questo quartiere, che ora viene curato meglio e dove anche la banale raccolta dei rifiuti viene fatta meglio e più assiduamente”.
Passeggiando per gli ampi spazi del mosso, abbiamo immaginato due difficoltà per questo posto appena nato, e abbiamo chiesto a Ortolani come le vedesse lei: il rischio di diventare l’ennesimo posto trendy di Milano per poi sparire e la sostenibilità economica.
Sulla possibile milanesizzazione, la risposta è stata chiara: “L’effetto novità indubbiamente c’è, e nei primi mesi sono venute tante persone probabilmente anche per questo”, però “i clienti sanno cos’è mosso e che non è come gli altri posti di Milano”. In che senso? “Gli arredi sono curati, forse pure un po’ ricercati, il posto è bello ma non è elitario: vogliamo portare bellezza, ma vogliamo che sia accessibile a tutti”. E questo ci porta alla seconda domanda, quella sul fare tornare i conti: “D’estate ha funzionato tutto molto bene, perché lo spazio esterno attira le persone ma d’inverno abbiamo fatto più fatica”. Va considerato che “le entrate dei bar e del ristorante devono sostenere tutto, servono per pagare tutto, dagli stipendi del personale alle spese per le strutture, come bollette e manutenzione, sino agli eventi che spesso sono gratuiti o comunque hanno prezzi molto contenuti”. E quindi? “E quindi l’invito alle persone è di non limitarsi a passare, bere un caffè e stare fuori, ma anche di sedersi al ristorante, consumare, mangiare, spendere e aiutarci a rimanere in piedi”. Così da poter mantenere vivo questo posto bello.
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