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Abbiamo incontrato Scaglione nella cucina della sua enosteria, che si chiama Lipen ed è aperta dai primi anni del Novecento: “All’inizio non volevo fare il pizzaiolo”, ci ha raccontato. Poi ci ha spiegato perché ha cambiato idea
Si può fare la vera pizza napoletana al Nord? Si possono restituire quelle stesse sensazioni di sapore, profumo, aspetto, anche lontano dal Vesuvio? Corrado Scaglione è convinto di sì, tant’è che è questo che fa da più o meno tutta la vita.
Scaglione, 57 anni, è il titolare di Lipen, il locale che ha ereditato dalla famiglia e che è un po’ pizzeria e un po’ ristorante. Lui lo definisce una enosteria, cioè una via di mezzo fra un posto dove si mangia e dove il vino ha un ruolo importante. Il riferimento evidentemente è alle osterie del passato, che è quello che Lipen era una volta: “Sino a non molti anni fa, questa era l’osteria della mia famiglia, si veniva a bere un bicchiere di vino e a giocare a carte”, ci ha raccontato Scaglione quando lo abbiamo incontrato nella sua cucina durante la seconda tappa del tour Cucchiaio 23, per parlare con lui e il collega e amico Renato Bosco del ruolo e della figura del pizzaiolo.
Lipen sta a Triuggio, in provincia di Monza e Brianza, a una decina di minuti dall’ingresso del Parco che ospita pure l’autodromo, ed era in qualche modo nel destino di Scaglione. Anche se all’inizio lui non era tanto d’accordo: “Ho fatto l’istituto alberghiero all’Amerigo Vespucci di Milano e ho trovato il mio primo lavoro alla pizzeria Marechiaro di Monza - ha ricordato con noi - Solo che io non volevo fare il pizzaiolo”. E poi che è successo? “È successo che ho provato, ho capito come si faceva, che c’era tanto ragionamento e tanto impegno, e mi è piaciuto”.
Ha capito che “fare il pizzaiolo non è, come si pensava una volta, un secondo lavoro da fare nei ritagli di tempo, per guadagnare qualcosa in più”, ma una professione che richiede tanta precisione. Soprattutto se, come ha fatto lui, si vuole seguire il Disciplinare della Verace Pizza Napoletana, che impone (ovviamente) regole molto severe per dosi degli ingredienti, temperature di cottura, farine da utilizzare.
Scaglione, che è appunto coordinatore fiduciario dell’associazione Verace Pizza Napoletana (sul sito dell’Avpn è indicato come Pizzaiolo Verace Senior), è stato bravo a unire la tradizione con un pizzico di sperimentazione. Quanto basta, come si dice in cucina, giocando soprattutto sulle materie prime, sugli impasti, sui lieviti e anche sull’uso del forno a legna.
Con qualche principio tutto suo, come ci ha spiegato: “Poco spazio alle modifiche chieste dai clienti”, perché, pur nel rispetto delle esigenze di ognuno, “vorrei che venisse rispettato il lavoro di chi l’ha pensata, una pizza che viene proposta come viene proposta”.
Soprattutto: "non più di 4-5 ingredienti per pizza, così chi mangia li vede tutti, li sente tutti al palato, con il giusto equilibrio fra acido, dolce e amaro”. Anche perché, e forse questa è un po’ una frecciata ad alcuni colleghi un po’ troppo avventurosi, “non è che sulla pizza sta bene tutto: alcuni ingredienti sono semplicemente inadatti, penso per esempio al foie gras o all’aragosta”. Che già sono inadatti in generale, fra l’altro.
La storia di Lipen, che per Scaglione è sia luogo di lavoro sia casa, perché la sua famiglia abita al piano di sopra, proprio come si faceva con le osterie di una volta, risale agli inizi del secolo scorso. Filippo, il primo proprietario, aprì il locale subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, avendolo ricevuto in dono dal conte Taverna, per cui in passato aveva lavorato come cuoco. Il nome viene dall’aspetto di Filippo: alto e magro, veniva chiamato da tutti Filipen, abbreviato in Lipen, che si pronuncia con l’accento messo sulla lettera e.
Lipen è sempre stata un affare di famiglia, tant’è che da subito “i miei genitori mi aiutavano in tutto quello che potevano - ci ha detto ancora Scaglione - mia mamma al mattino presto con le preparazioni necessarie per i vari piatti, mio padre con la verdura dell’orto”.
Oggi nel menu di questa enosteria, distribuita su due piani e con una bella veranda che gira tutto intorno al locale, si trovano pizze curiose e particolari come la Quater Stracc, sorta di Quattro Formaggi rivisitata in chiave lombarda: viene servita divisa in 4 spicchi, ognuno dei quali dominato da un formaggio del posto (di Montevecchia, scimudin, taleggio e zola stagionato) e guarnita da un filo di miele d’acacia. Oppure come la Margherita in 3D, che ha l’aspetto di un trifoglio e si basa sull’accostamento di diversi tipi di pomodoro e mozzarella, che vanno ovviamente mangiati nella giusta sequenza.
Fra gli abbinamenti che Scaglione ha provato o in cui si è imbattuto nella sua carriera, quello che gli è rimasto più in mente è “una pizza napoletana con pomodoro del piennolo, bufala, lardo, cipolla caramellata e aneto, che risulta molto croccante al palato”. E però, la sua pizza preferita resta “la marinara, con aglio, pomodoro e origano”. Perché va bene sperimentare, ma ci sono gusti immutabili che evidentemente non passano mai di moda.
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