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Il vivace dibattito fra Renato Bosco e Corrado Scaglione, due maestri della pizza, ci fa riflettere su una professione che si è evoluta senza portarsi dietro una formazione completa e strutturata.
La figura del pizzaiolo è al centro della seconda tappa del nostro tour, perché? Perché abbiamo capito che c’è bisogno di parlarne. Lo chef, soprattutto negli ultimi 15 anni, ne ha fatta di strada, complice la televisione prima e la comunicazione digitale poi, e, fin troppo spesso, la cucina l’ha lasciata per promuovere una professione che è diventata iconica. Il pizzaiolo no, se ne sta cristallizzato dentro al suo stereotipo, salvo rare eccezioni di eccellenza. Si potrebbe quasi dire che la pizza ha fatto più strada del pizzaiolo, rimasto una figura il più delle volte invisibile. Qual è la ragione? E ‘pizzaiolo’ è il termine giusto a definire un lavoro sempre più fatto di ricerca e studio? E i pochi maestri stanno insegnando a qualcuno?
A rifletterci, su questo tema di domande ne nascono molte, perciò abbiamo invitato due maestri, due uomini che di pizza ne sanno parecchio, sono amici fra loro (e ora anche un po’ nostri).
Si conoscono nel 2010, quando la discussione intorno alla definizione di pizza contemporanea si accende, hanno due caratteri diversi ma si somigliano per motivazione e passione. Si mettono in discussione, studiano e viaggiano (qualche volta insieme).
Sono Renato Bosco, patron di Renato Bosco Pizzeria a San Martino Buon Albergo (VR) e Corrado Scaglione patron di Lipen a Triuggio (MB), entrambi Ambasciatore del Gusto, i loro locali sono annoverati fra i migliori d’Italia. Come Franco Pepe e Simone Padoan, hanno tracciato l’evoluzione della pizza italiana degli ultimi 10 anni circa.
“Il mondo della pizza è giovane ma può contribuire a disegnare il futuro della gastronomia italiana, il nostro obiettivo deve essere costruire i presupposti di una formazione, per coinvolgere le generazioni più giovani nel nostro lavoro a partire dal nostro pensiero. E favorire così l’evoluzione della pizza e del pizzaiolo”.
È così che Renato Bosco comincia la discussione, senza preamboli, sollevando una necessità e insieme un dovere: trasferire competenze in modo strutturato, e con continuità, alle nuove generazioni.
“Deve evolvere anche l’idea di cos’è un pizzaiolo. - incalza Corrado Scaglione - Oggi è una professione che ha un taglio trasversale, comprende la cucina in senso ampio, la panetteria, la pasticceria. Non è un “dopolavoro” quello del pizzaiolo e noi ne dobbiamo riscrivere la definizione. Pizzaiolo significa molte cose, allo stesso modo pizza vuol dire tanti prodotti e stili, di cui il consumatore finale spesso non ha consapevolezza. Che pizza sta mangiando? Napoletana, contemporanea?".
Ci sembra di capire che i temi sono due: la figura del pizzaiolo e la sua formazione. La prima è ferma, sottovalutata potremmo dire, e la seconda non c’è o perlomeno non è ‘istituzionale’; mentre gli chef si formano all’alberghiero, l’alberghiero della pizza non esiste. E che manchi una scuola è evidente anche per il reperimento di personale, come ci conferma Corrado: ”In questo periodo di carenza di personale ci accorgiamo che non c’è un luogo in cui attingere per le nuove leve, si trovano con incontri casuali, passaparola o fra i giovani conosciuti in fiera”.
Dopo le prime battute cominciamo a capire che è un problema di identità: 'l'arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano’ è patrimonio dell’umanità e insieme qualcosa che continua a ‘nascere dal basso’ e, salvo rari casi, in basso resta. Come ricordano in nostri protagonisti del tour: “In fondo in passato era una minaccia: studia o ti mando a fare il pizzaiolo”.
Il termine poi, a Scaglione gli sta stretto: “Noi gestiamo la lievitazione. Dovremmo chiamarci lievitisti”. La sua convinzione è che vada trovata una parola capace di contenere tutte le competenze che al pizzaiolo servono per essere una figura completa. Bosco è più morbido e fa un passo indietro, parte dal loro percorso degli ultimi 10 anni: “Siamo partiti dagli impasti, dalla conoscenza della materia, selezionando le farine in funzione dei risultati che volevamo raggiungere. E in questo i mulini ci hanno aiutato molto. Abbiamo studiato, abbiamo ripensato la lievitazione. E poi il topping” che lui definisce in modo efficace come “la ricerca della cucina appoggiata sulla pizza. Abbiamo sperimentato la cottura a bassa temperatura, le consistenze, per arrivare poi al mondo dei dolci, dei lievitati da ricorrenza, che è vicino a quello della pizza”. E lo sa bene Bosco che con il suo panettone ne ha vinti di premi.
Ma è alla luce di questo che la convinzione di Scaglione si fa ancora più forte: “Dopo il percorso strutturato che abbiamo fatto e con degli obiettivi chiari, fissare le conoscenze raggiunte è ancora più importante e per farlo serve un lessico, che non esiste, perlomeno non è codificato”.
L’appello dei due è chiaro: “C’è la necessità di un riconoscimento per la categoria, il bisogno di creare la forza giusta per rivolgersi alle istituzioni portando l’attenzione su una mancanza del mondo della ristorazione”.
Così come è chiaro il modo per raggiungerlo, ribadiscono entrambi: “Il pizzaiolo deve studiare e per farlo deve avere un luogo pensato per la sua formazione completa, dalla cultura generale alla biologia per la comprensione di fermentati e lieviti”.
A noi di Cucchiaio piace l’idea di sostenere la proposta di Bosco e Scaglione, per questo ci siamo fatti raccontare le ragioni di una causa difficile da comprendere senza farsi delle domande su quanto stiamo mangiando. È sorprendente quanto la soglia di gradimento della pizza possa essere bassa, perché fa festa, fa domenica sera a casa e prime uscite con gli amici. La pizza è un’allegoria ma può essere anche ben lievitata, digeribile e di grande qualità. Per questo torneremo sull’argomento e promuoveremo insieme a questa generazione di pizzaioli (lievitisti, pizzaricercatori, pizzachef) un percorso formativo strutturato per chi ha fra le mani una storia unica al mondo.
Ma allora come lo chiamiamo il pizzaiolo, ché per Bosco lievitista è riduttivo, non rende giustizia alla professione perché identifica è solo una fase del mondo del pizzaiolo?
Scaglione: “Allora qual è il termine che ti soddisfa? Che parola useresti?”
Bosco: “Pizzaiolo” (che deve fare un percorso di studio).
Sono amici, ma non sono sempre d’accordo e questo rende il dibattito ancora più vivo.
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