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La redazione del Cucchiaio alla MEatSCHOOL per approfondire il mondo della carne bovina. Parliamo di tagli poveri e soprattutto di come e perché la carne va destagionalizzata
La ‘bistecca del macellaio’, sembra il titolo di un racconto
breve e invece è una bistecca vera. È un taglio che da sempre non vuole
nessuno e finisce dritto dritto sulla tavola del macellaio, è il diaframma del bovino, taglio povero per antonomasia. Questa suggestione dal sapore letterario ci porta a chiederci se ha ancora senso parlare di ‘tagli poveri’, usando un vocabolario ereditato da una classificazione e da un contesto molto distanti da oggi per produzione, approccio al cibo, educazione alimentare e cultura.
Questo uno degli argomenti affrontati durante la terza tappa del tour del Cucchiaio, presso la MEatSCHOOL, l’Accademia di Formazione di Centro Carni a Padova. Paolo Amedeo Garofalo, Commercial and Development Manager della MEatSCHOOL, ha tenuto una lezione, a tutta la redazione, dal titolo evocativo ‘La rivincita degli ultimi’, per raccontare come valorizzare i tagli meno conosciuti e più economici e soprattutto perché farlo. Perché di carne non si parla molto in termini di educazione e informazione, per questo abbiamo voluto farlo noi.
“Nella lavorazione standard della macellazione del bovino si
ottengono 25 tagli anatomici per mezzena (termine che indica la metà di
un animale n.d.r.). A questi tagli va aggiunto tutto il mondo delle frattaglie, il cosiddetto quinto quarto. Oggi la maggior parte dei consumatori finali, sia in ristorazione sia a casa, mangia sempre gli stessi tagli, i più banali, infondo.
Compriamo, cuciniamo o ordiniamo il filetto, il roastbeef, l’entrecôte, la fettina
di carne veloce e trascuriamo il resto, i tagli poveri che poveri non sono”. Garofalo sottolinea che “non esistono tagli di prima o seconda qualità, ogni taglio ha il suo modo corretto di essere valorizzato in cottura”. Le due keyword fino a qui sono: meno conservativi e più informati. Vediamo come.
Siamo abituati all’idea di stagionalità per la frutta, la verdura e il pesce. Anche la carne ne ha una che ci richiede un pensiero più ampio rispetto al calendario e meno lineare. “È vero che nel bovino i tagli anatomici sono sempre gli stessi in ogni stagione” continua Garofalo “ciò che subisce andamento stagionale è il modo di consumare la carne.
D’estate, per esempio, si scelgono cotture veloci come la griglia, d’inverno
siamo più orientati verso spezzatino, stufato, brasato e bollito. Capite bene come la richiesta di consumo generi un disequilibrio: ci sono periodi dell’anno in cui il mercato è scompensato tra domanda e offerta, di anteriore e posteriore, e questo incide sul posizionamento e dunque sul prezzo di un prodotto”. Questa è una visione a cui siamo poco abituati, ci chiediamo dove finiscano i polli al netto delle alette consumate negli USA, ma non che fine fa il cappello del prete.
“Non possiamo pensare di macellare carne inopportunamente, non sarebbe sostenibile né a livello economico né ambientale, pensiamo allo spreco alimentare, ai costi di trasporto, stoccaggio e conservazione. Per questo è importante trovare il modo di utilizzare e valorizzare tutti i tagli di carne”.
Il consumo della carne va destagionalizzato promuovendo la riscoperta di tagli meno nobili ma anche meno noti, una pratica che farebbe probabilmente bene a tutti, a noi, alla filiera e all’ambiente. “Ci sono due modi per farlo: recuperare le ricette della tradizione che generalmente prevedono l’utilizzo di tagli poveri, da sempre considerati quelli dell’anteriore, come spezzatini, brasati e ragù. Il secondo consiste nel valorizzare i tagli poveri grazie a cotture diverse da quelle più consuete, riprese dalla nostra cultura culinaria o mutuate da altre; si pensi al mondo delle cotture anglosassoni o sudamericane. Il barbecue che prevede una serie di strumenti e dispositivi diversi dalle nostre semplici griglie, o l’asado argentino”.
Lavorazioni e cotture diverse su tagli che offrono buone opportunità di mercato e aggiungeremmo anche varietà nel consumo, che fa bene a noi e alla nostra cucina, con rispetto parlando. “Oggi il mondo barbecue è mainstream, in commercio esistono prodotti precotti e anche le macellerie si sono attrezzate di conseguenza”.
Ma quali sono i ‘tagli poveri’ e come possiamo valorizzarli ‘fuori stagione’?
“La pancia del bovino, che nella nostra tradizione diventa bollito o spezzatino, si può destagionalizzare attraverso una proposta più estiva come i ribs. Siamo abituati alle costine di suino, ma trattandosi dello stesso taglio nel bovino, con una lavorazione simile, il risultato che si ottiene è di qualità e adatto a stagioni più calde”. Beef Ribs o asado al posto del bollito, ecco un altro modo per valorizzare il biancostato e consumarlo anche d’estate.
Un altro esempio è offerto dallo stinco, per noi ossobuco, goulash e spezzatino. “Da questo taglio sta nascendo la moda dell’hammer steak, una lavorazione in cui l’osso rimane intero e la carne resta attaccata tutt’attorno. Anche questo è un taglio che si presta al barbecue o alla cottura al forno, poi viene sfilacciato e consumato magari dentro a un panino, ricordando il pulled pork di suino”. Il risultato è scenografico, “piace e funziona in ristorazione” ci conferma Garofalo “e alto è il potenziale di risonanza sui social, dal punto di vista della sostenibilità del sistema macellazione è un modo per proporre lo stinco in tavola anche d’estate, attraverso una presentazione diversa”.
“Si tratta della punta di petto del bovino, quella che in Italia è sempre stata utilizzata per fare rollate o bolliti. Lo stesso taglio anatomico è ideale per la lunga cottura (10/12 ore), con i dispositivi specifici, e servito a fette, di solito in sandwich. Oggi si trova facilmente in molti ristoranti e gastronomie”.
Un altro piatto di tendenza è il pastrami (uno dei piatti che amiamo di più in redazione, non ce ne voglia la nonna ndr) che si ottiene sempre dal taglio della punta di petto. C’è molto interesse intorno al pastrami (lo confermano le numerose ricerche che registriamo ogni mese su Google n.d.r.), per questo il consumatore è interessato a trovarlo anche in GDO, oltre che al ristorante, magari già pronto nella vaschetta”.
Ecco che il cappello del prete, un taglio molto richiesto ma con tanti alti e bassi stagionali, perché destinato ai brasati, in estate può diventare flat iron steak, succulento e ideale per la griglia. Basti pensare che è il secondo muscolo bovino più tenero dopo il filetto.
E si potrebbe continuare con il lombatello, la bavetta, il diaframma, muscoli di seconda scelta e che fino a pochi anni fa finivano nei macinati.
La questione è complessa, sono temi scomodi di cui parlare e scrivere, ce lo confermano alla MEatSCHOOL, lo sperimentiamo nel quotidiano sui media e come consumatori. Il consumo di carne è attenzionato per denunciare pratiche disumane e deprecabili ma rischia di essere demonizzato a prescindere dalle modalità di allevamento e dalla qualità del prodotto. Dobbiamo tuttavia considerare che il popolo vegetariano costituisce il 7% della popolazione, dunque è lavorando su chi mangia carne che si può fare la differenza, cambiandone, quando, serve le abitudini.
Consideriamo che la FAO stima che “il consumo medio mondiale di carne per abitante dovrebbe aumentare dello 0,1 % all'anno, principalmente nei paesi a medio e basso reddito” e che “la domanda globale di carne aumenterà fino al 2032, ma i livelli di consumo pro capite nei paesi ad alto reddito dovrebbero diminuire nel prossimo decennio, specialmente in Europa occidentale e Nord America”. Questo ci fa capire quanto sia fondamentale un consumo più educato, informato sulla storia, le caratteristiche e le potenzialità della carne che mettiamo nel piatto. Per questo, la MEatSCHOOL tiene corsi per dare a professionisti e consumatori gli strumenti per orientarsi meglio.
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