Non c’è dubbio che pur con tutto il rispetto per l’Ansonica, che pur in alcuni casi sa esprimere, in versione secca e passita, validi vini (ne cito uno su tutti, quello di
Sapereta) o per il Vermentino (intrigante quello dell’azienda
Cecilia) e espressa la debita simpatia, ne hanno bisogno perché possono solo migliorare, per rossi e rosati, il vino simbolo dell’Isola d’Elba sia inevitabilmente l’
Aleatico.
Lo è perché ci troviamo di fronte all’autentico vitigno autoctono di quest’isola per molti versi incantevole (dove purtroppo l’offerta turistica non è sempre all’altezza della situazione e si pratica con diletto lo sport dello “spennamento” del turista…), la cui presenza in loco, dove la viticoltura era praticata già in epoca etrusca, risale all’era dei romani, che introdussero questo vitigno aromatico a bacca rossa di origine greca, considerato una mutazione genetica del Moscato Bianco, in Toscana, Lazio, Puglia e Sicilia. E considerando che la residua superficie vitata si è drasticamente ridotta rispetto al periodo tra il XIX e il XX secolo, quando dicono le cronache che occupasse un quarto circa della superficie totale dell'isola, i circa 40 ettari di Aleatico sui 170 totali coltivati per la produzione di Elba Doc (più un numero indefinibile, ma non grande, di ettari non rivendicati a denominazione) rappresentano una percentuale significativa.
La leggenda vuole che personaggi storici legati all'Elba quali Cosimo De' Medici e Napoleone Bonaparte ne abbiano in qualche modo incentivato la coltivazione e diffusione, poiché ne erano grandi estimatori, e nulla toglie che questo possa essere accaduto, ma venendo a tempi più moderni, la fortuna e lo sviluppo di questo vino, che è diventato Docg dal maggio 2011, designato come Elba Aleatico Passito" oppure "Aleatico Passito dell'Elba", è stata fortemente legata alla sua immagine di vino dolce, confezionato anche in singolari bottiglie impagliate tipo “pulcianella”, da acquistare durante un soggiorno sull’isola e da regalare agli amici o servire in occasioni speciali.
La vera storia produttiva e la giusta immagine di vino da dessert o meditazione o fine pasto, come lo si preferisca chiamare, dell’Aleatico elbano è veramente agli inizi, quando si stabilì in base al disciplinare della Docg che i vigneti dovessero avere una densità minima di 5000 ceppi ettaro, una produzione per ceppo che non superasse l’1,8 chilogrammi ed i 70 quintali per ettaro, con una resa massima delle uve in vino non superiore al 35% dell’uva fresca. Il resto poi, come accade con tutti i passiti, è pura alchimia, variazioni infinite sul tema classico “appassimento delle uve” legate alla sensibilità e alle intuizioni più che alla pura stilistica enologica di ogni singolo produttore.
Il disciplinare prevede “un periodo minimo di 10 giorni di appassimento all'aria o in locali idonei, sino al raggiungimento di un contenuto zuccherino minimo del 30%”, e poi l’affinamento può svolgersi indifferentemente in acciaio oppure in legno (di varia natura e capacità), ma basta assaggiare anche solo cinque o dieci Aleatico dell’Elba diversi (in commercio se ne trovano di diverse annate, perché ci sono produttori che lo preferiscono fresco e fruttato, altri più invecchiato e con processi ossidativi controllati) per capire come questo non sia solo un passito naturale non liquoroso, ma un piccolo capolavoro della creatività umana legata al vino.
Uno dei migliori Aleatico elbani è sicuramente proposto da un’azienda, la Fattoria delle Ripalte di Capoliveri, che ha una lunga storia, visto che nacque nel 1896 su iniziativa del Conte Tobler, nobiluomo svizzero innamorato dell'Italia, ma che è rinata a nuova vita nel 2002 quando la proprietà decise di valorizzare la vocazione viticola dei suoi terreni che erano stati abbandonati e trascurati.
Dodici gli ettari vitati ripiantati, la metà dei quali destinati ad Aleatico (viene prodotto anche un piacevole
rosato che trovo piacevole servendolo più che sul pesce come originale aperitivo con quarti delle squisite pesche locali lasciate in infusione…), gli altri a Vermentino, a Grenache e Carignano (base del Rosso delle Ripalte), e soprattutto il coinvolgimento in prima persona, come presidente e referente tecnico, di un personaggio straordinario come
Piermario Meletti Cavallari, reduce dalla trentennale esperienza di Grattamacco a Bolgheri, dove aveva piantato un filare di Aleatico per il puro gusto di ricavare un vino per gli amici.
Si aggiunga poi, affidata al celebre architetto Tobia Scarpa, la costruzione di una nuova cantina che si presenta come un grande parallelepipedo in pietra calamita prelevata da vicine cave inserito nel Colle di Gianni e sviluppato su tre livelli, la collocazione dei vigneti, in larga parte terrazzati, su suoli difficili, sassosi e molto drenati dove la vite produce poco e la totale rinuncia a prodotti chimici di sintesi per i trattamenti fitosanitari, con limitata concimazione organica, per avere il quadro di una piccola realtà produttiva ottimale. Che se vi capitasse di visitare apprezzerete anche per la vista panoramica meravigliosa sui vigneti circostanti e sulle coste che si gode dal terrazzo utilizzato per l’appassimento,
en plein air delle uve. Come è dunque l’Aleatico dell’Elba
Alea Ludendo, che tradotto dal latino significa "Giocando ai dadi" o "divertendomi con la sorte", un motto che esemplifica bene il carattere di sfida di questa avventura imprenditoriale della Fattoria delle Ripalte, ottenuto da uve coltivate al Poggio Turco?
Io lo definirei molto buono, dolce al punto giusto, senza rischio di stancare chi ne centellini, meglio da solo che sui classici abbinamenti, crostate di frutta, pasticceria secca, "schiaccia briaca", dolce tipico elbano a base di uvetta, pinoli, frutta secca e Aleatico, dolci al cioccolato, formaggi piccanti ed erborinati come il Gorgonzola, il Roquefort o lo Stilton, o il Blu del Moncenisio, un bicchiere. Colore rubino fitto denso e profondo, con sfumature mogano, e profumi molto caratteristici, con note di marron glacé a dominare, ma anche amarena, frutta candita, arance e poi uno spiccato carattere selvatico di sottobosco e macchia mediterranea, di prugna secca, ginepro, liquirizia nera e sfumature leggermente terrose, per non dire ferrose, e minerali. Bocca ricca, dolce, fondente, con frutta rossa ben matura e leggermente caramellata, un saldo corredo tannico: dolce calibrato, piuttosto salato, con notevole acidità che dà nerbo e carattere al vino e lo mantiene costantemente in tensione, vivo e dinamico.
Un ottimo Aleatico, un vero “vin de terroir”, un giusto omaggio enoico a quel luogo incantevole e speciale che è l’Elba….