Ci sono parole che sono state ritirate dal dizionario del vino, perchè hanno esalato l'ultimo respiro sotto l'assalto di un uso continuo e reiterato, tanto ripetuto da svuotarle di significato. Una di queste parole è "emozioni".
Quindi, quando un'emozione succede, rimani spiazzato, e non sai più come raccontare quell'istante in cui il cuore si ferma. Basisce. Esplode domande.
Allora in una normale cantina di una normale casa, nello scaffale basso ci sono alcune bottiglie dimenticate. Vecchie. Antiche. Una di queste sale un paio di piani e finisce sul tavolo. Il tappo è molle, e si sbriciola: non ho il cavatappi a lame, vado lento e riesco.
Il colore è ampiamente mattone-arancio, abbandonati i toni porpora di lontano. Scarico, quasi trasparente. Temo molto: ma il naso è una ghigliottina. Sottile, fine, quasi ieratico. L'inizio d'agrumi. Il frutto è tutto lì: per il resto sale un tono ferroso, ematico, selvatico, prismatico, estatico. Devi cercare le sfumature, tese come le vene sulla pelle di un vecchio, in trasparenza. Ma quando compaiono hanno la vibrazione della vita, dentro.
Con il tempo l'aroma si iscurisce, si fa animale. Si fa nebbioso, si fa quasi arreso. Ma l'assaggio si erge con nodosa potenza. I tannini ancora - incredibilmente - rutilanti, il sorso che sale attraverso le ere, raccontando tutti i caratteri del Nebbiolo: palpiti sul palato, elettricità (dopo 40 anni!!!) e ancora scariche di fucileria, carabine leggere, fucili a retrocarica, stampe a inchiostro seppia, carte ingiallite, soldati del Regno impettiti e con lo sguardo diritto.
Ecco, se si beve vino, e si racconta vino, è perchè una volta ogni tanto può accadere: una cantina dal nome pianisonante, con uve allevate in "zona da nocciuole". Eppure, questo: emoziona.