Nel mare magnum delle denominazioni d’origine italiane ce ne sono tantissime che rischiano di apparire poco o di avere una notorietà inferiore ai meriti perché dotate di un nome che le fa sembrare poco appealing o provinciali. O legate a ricordi di un passato che data l’incultura dominante alias analfabetismo di ritorno appare lontano.
E’ questo il caso del Custoza o Bianco di Custoza, che prende nome da una località, frazione di Sommacampagna, che si trova sulle ultime propaggini dell’anfiteatro morenico del Garda ed è nota, a chi frequenta ancora i libri di storia, per essere stata scenario di due epiche battaglie risorgimentali, rispettivamente il 25 luglio 1848 ed il 24 giugno 1866, che videro l’esercito piemontese ed in seguito quello italiano sconfitti dall’esercito austriaco. Dal generale Radetzky prima e dall’arciduca Alberto d’Austria.
Custoza lega il suo nome, oltre che alle battaglie e al grande e suggestivo ossario che celebra i soldati morti durante le guerre d’indipendenza, anche ad un grande scrittore italiano che oggi non va tanto per la maggiore, Edmondo De Amicis, e alla leggendaria figura del Tamburino sardo che nel libro Cuore corre dalle colline di Custoza alla disperata ricerca di rinforzi. Custoza però, oltre che per il suo passato risorgimentale merita interesse oggi anche per il suo vino bianco,
Doc dal 1971, un bianco decisamente originale visto che non è monovarietale, ma frutto di una cuvée di uve diverse dove accanto ad un’uva veronese per antonomasia, la Garganega regina del Soave, ed una quota di Trebbiano, appaiono due biotipi e cloni locali di varietà diffuse altrove, il Trebbianello (che altro non sarebbe che Tocai friulano) e la Bianca Fernanda (una variante autoctona del Cortese piemontese).
Se poi si aggiunge che il disciplinare di produzione consente di usare altre varietà quali Malvasia, Riesling italico, Pinot bianco, Chardonnay e Incrocio Manzoni, ecco spiegato come il Custoza e la tipologia, un po’ più importante come gradazione alcolica ed estratto secco, Custoza (che si può anche chiamare Bianco di Custoza) superiore, ecco spiegato come ci si trovi di fronte ad un vino decisamente personale.
Una delle versioni a mio avviso più interessanti, accanto al sempre affidabile Custoza base è il Custoza Superiore Amedeo (tanto per restare in tema risorgimentale nome legato al fatto che nel 1866 durante la Terza Guerra di Indipendenza il Principe Amedeo di Savoia fu ferito in un vigneto ora di proprietà dell’azienda produttrice, come attesta il cippo in ardesia posto all'ingresso dell'azienda stessa) prodotto dall’azienda agricola
Cavalchina di Luciano Piona, che sorge in una zona che secondo il catasto asburgico nel 1848 (e ci risiamo con la storia!) vantava una vocazione alla produzione di qualità, con vigneti classificati di I e II categoria anche per merito della costanza produttiva del vigneto, ovvero della loro resistenza alla siccità, problema che affligge i terreni morenici del Garda.
Cavalchina così definita perché la zona dove ha sede fu residenza del conte Cavalchini. E la storia, più recente, quella della Doc di cui stiamo parlando, entra nuovamente in gioco perché proprio a questa azienda si deve l'invenzione del Custoza, perché fu proprio la Cavalchina nel 1962 la prima a chiamare Custoza il vin du pays. Il Bianco di Custoza superiore Amedeo, con il suo uvaggio dove figurano la Garganega al 40%, la Fernanda al 30%, Trebbianello e Trebbiano al 15%, è un vino interessante anche perché nella sua composizione deve tener conto di epoche di maturazione e caratteristiche diverse delle varie uve che ne fanno parte.
Come si legge nella scheda tecnica dell’azienda, “la neutralità, ma nel contempo la struttura del Trebbianello e del Trebbiano (se raccolto in leggera sovramaturazione ) hanno indicato la possibilità di sostenere l'impatto con la barrique, l'esile ma spiccata personalità della Garganega ha trovato perfetta espressione in una fermentazione ed elevazione condotta in botte di rovere di Slavonia da 15/20 ettolitri, mentre il carattere semia-aromatico della Fernanda non ha lasciato dubbi riguardo alla vocazione di fermentare in acciaio. La nuova tecnica del congelamento delle uve, prima della spremitura, favorisce una intensa estrazione aromatica che nell’affinamento sviluppa importanti note minerali”. E dopo la composizione della cuvée a fine maggio il vino è pronto per un consumo non solo legato all’immediato, per essere apprezzato anche dopo un paio di anni.
Il risultato, come ho potuto verificare bevendo, con grande soddisfazione, l’annata 2012, è di ottima personalità e non solo tecnicamente ineccepibile. Colore paglierino scarico brillante, dai riflessi metallici e molto luminoso, naso molto ricco complesso, denso, con il calore e la grassezza conferite da note di ananas, mela cotogna, pera, frutta esotica, agrumi, e la freschezza che arriva da note floreali, di sambuco, mandorla fresca, fieno, a comporre un insieme molto variegato e intrigante.
Molto grasso, strutturato, con larghezza e consistenza, l’attacco in bocca, di buona rotondità ed espansione, ma ravvivato e tenuto desto da una fresca vena acida, da una buona sapidità e una vena leggermente minerale che consentono al gusto, pieno e di grande persistenza, di rimanere sempre equilibrato e molto piacevole. Insomma, sarà anche un vino risorgimentale, per certi versi, il Custoza, ma quanta modernità in questa calibrata fusione, in questo variegato mix di uve diverse!