Confesso che adoro il Dolcetto, anzi i Dolcetto perché sono tanti e diversi i vini espressione di questo vitigno variegato e personale che cresce innanzitutto in Piemonte e quindi Valle d’Aosta e nell’area oltrepadana della Lombardia. E non posso pertanto che amare, anche se per una forma di orgoglio localistico o di pudore, o chissà perché, non ama definirsi con questo nome, causa di equivoco per molti consumatori che al nome Dolcetto, riferito alla dolcezza naturale delle uve, pensano possa corrispondere un vino dolce, cosa assolutamente non vera, il particolare Dolcetto, un Dolcetto di alta collina o addirittura di “montagna” che nasce in Liguria.
E può contare su una Doc, meno conosciuta come le altre rosse rispetto a quelle bianche liguri, che recita
Ormeasco di Pornassio o semplicemente
Pornassio, comune della provincia di Imperia situato in
Valle Arroscia. Si tratta, come ho già scritto, di una piccola Doc di circa 40 ettari estesa nell'entroterra ligure e riferita al territorio delle due provincie di Imperia e Savona che hanno il borgo agricolo di Pieve di Teco come centro amministrativo.
Perché un’uva tipicamente piemontese come il Dolcetto sia arrivata in queste lande è presto detto, per iniziativa dei
Marchesi di Clavesana signori di Pornassio che intorno al quattordicesimo secolo pensarono bene di trapiantare l’uva di casa anche in queste terre liguri. Il resto è storia, anche il nome più diffuso rispetto a quello con cui la chiamavano i conquistatori di Ormeasco, perché probabilmente uno dei villaggi dove questo vitigno schietto e generoso si ambientò meglio fu Ormea.
Ho già scritto questa estate, definendolo uno dei migliori rosati bevuti quest’anno, della particolarissima e ben poco nota versione rosato che uno degli indiscussi cultori dell’Ormeasco della zona,
Lupi di Pieve di Teco, produce chiamandolo
Sciac-trà o Ormeasco di Pornassio Sciac-trà (un nome che nasce dalla contrazione tra due termini dialettali come
sciac, sciaccare, ovvero pigiare, e
trà, ovvero tirar via, con ovvio riferimento alla speciale tecnica vinificazione dei rosati che prevede una brevissima macerazione sulle bucce prima della svinatura).
Intendiamoci, di strada per farsi conoscere questo speciale “Dolcetto” appenninico ligure deve farne ancora parecchia, anche perché come spesso accade in Italia i legislatori di cose vinicole provano diletto a complicare le cose piuttosto che semplificarle e renderle comprensibili e la Doc Ormeasco che grazie a quel nome poteva essere l’emblema della territorialità e invece di due sole tipologie, il rosso (con l’eventuale modalità riserva o superiore) ed il rosato, che dà ottimi risultati, sono state previste, forse in omaggio ad arcaiche tradizioni locali anche le improbabili tipologie passito e passito liquoroso.
Nonostante questa confusione normativa e d’immagine per i Lupi l’Ormeasco è sinonimo, Sciac-trà a parte, di vino rosso dalle peculiari caratteristiche “dolcettose”, coltivato con fatica, come un vitigno importante, cosa che è effettivamente e dà un’identità enoica a questa terra tra mare e monti su e giù per vigneti a terrazze a 650 metri d’altezza, con piante che dai 60 possono spingersi sino agli ottanta anni d’età.
Così affezionati al loro Ormeasco - lo definiscono “la grande passione dell’azienda, nella produzione e nella coltivazione” - da produrne addirittura due versioni, una più ambiziosa, una lettura un po’ particolare, l’Ormeasco di Pornassio Superiore Le Braje (termine di origine longobarda del 1200 che indicava i fondi migliori adatti alla coltivazione destinati agli uomini indipendenti), affinato per il 70% in acciaio e per il 30% in barrique dove sosta 24 mesi, e poi il Dolcetto, pardon Ormesco di Pornassio, che da uve provenienti dai vecchi vigneti Trastanello e Pornassio fermentano e maturano semplicemente in acciaio esaltando la schiettezza, un po’ selvatica dell’uva.
Il suo fruttato con una vena di mandorla piacevolissima, i profumi di bacche e more di rovo, quelle sfumature di viole e terra umida che fanno tanto sottobosco, e quella presenza del tannino che dà carattere, personalità, nerbo ad un vino che non vuole essere solo esaltazione di una frutta matura al punto giusto e ancora ben polputa e croccante, ma vuole ricordare sempre, in ogni istante, mentre ne apprezzi il gusto secco e ben teso, la bella sapidità, essere vino di selva e di macchia. Un Dolcetto per gli amanti delle strette di mano forti, dei vini schietti e non omologati.