Scrivere di Tintilia è scrivere del mistero. Chi lo vuole spagnolo, da "Tinto"- in Ispagna: rosso - chi lo vuole ancestrale, da "Tentella" che è la giovinetta. Di certo è un ceppo che ha rischiato l'estinzione a causa della sua produttività micragnosa, e del tentativo di migrarlo verso costa. La sua natura infatti chiede collina, e metri d'altitudine per produrre quegli acini piccoli, scurissimi.
Il mistero è anche nel bicchiere, dove un vino scuro ma non troppo pigmentato brilla di un rubino leggermente virato al bruno. E gli aromi, che all'apertura risultano fitti e compressi, con il passare dei minuti sbocciano per allargarsi in una espressione cangiante, quasi caleidoscopica. Inizialmente ematica, slaccia poi i cordoni per raggiungere una veste quasi elegante, di balsami e spezie. Infine ancora un ripiegarsi nel legno e nella vinaccia.
Leggi i 14 gradi emmezzo di targa e ti avvicini all'assaggio, che invece si arrampica su tannini fitti e farinosi. Risalendo verso il centro il sorso perde quelle vibrazioni dolci e molli della bottiglia appena stappata per trovare una più asciutta composizione. Nell'ultimo sorso addirittura trovi un'austerità nuova, diritta senza essere severa. Corpo, ma senza grossezze eccessive. Appena corto il termine, che si chiude svelto.
Bicchiere inusuale, e per certi versi sorprendente.