E’ il vitigno identitario del Canavese, la tranquilla zona collinare estesa tra la Serra di Ivrea, il Po, la Stura di Lanzo e le Alpi Graie, ovvero l’area compresa tra Torino e la Valle d’Aosta e ad est verso il biellese e il vercellese. Sto parlando dell’Erbaluce, o Erbaluce di Caluso, uno dei borghi e delle capitali della denominazione, Doc dal 1967 e Docg dal 2010, un vitigno la cui produzione è consentita nelle province di Torino, Biella e Vercelli, che definirei particolarmente interessante e duttile. Difatti non si accontenta di esprimere vini bianchi secchi di grande piacevolezza che hanno una buona tenuta nel tempo, ma dà vita a “spumanti” soprattutto metodo classico di buona complessità e freschezza e a sorprendenti vini passiti. Tipologie diverse, ma ognuna dotata di una propria precisa personalità.
Il suo nome, Erbaluce, ha origine dall’espressione latina "alba lux", che “fotografa” con precisione la sorprendente luminosità dei grappoli, il colore che assumono gli acini in autunno, con i riflessi rosati e caldi che si fanno più intensi, e addirittura ambrati, nelle parti esposte al sole. Anche se la coltivazione della vite nel Canavese risale a tempi molto antichi favorita dal territorio collinare morenico ricco di minerali, di rocce e sabbie create dall’antico rotolamento dalla crosta superficiale delle montagne della Valle d'Aosta scesa con i ghiacci, e da un clima generalmente mite, le prime citazioni dell’Erbaluce risalgono ad inizio Seicento, menzionato per la prima volta nel suo libro Della eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna di Torino si fanno da Giovan Battista Croce, gioielliere presso il duca Carlo Emanuele I e grande appassionato di viticoltura e conduttore di una vigna.
Ad oggi non si hanno ipotesi precise e accertate sulla sua origine, ed il fatto che localmente venga chiamato anche Greco non deve indurre a concludere che sia davvero di origine greca. Resta il fatto che nel Canavese ha trovato il proprio habitat e si esprime, nelle tre diverse tipologie, con ricchezza di carattere.
Diverse sono le aziende che producono Erbaluce di Caluso di qualità nella zona, ma per ritrovare il gusto peculiare del vino ho voluto assaggiare, anche se molto fresco d’imbottigliamento, il vino classico di un’azienda che conosco da molti anni e che ho più volte visitato, l’azienda Orsolani di San Giorgio Canavese, giunta alla quarta generazione dalla fondazione nel 1894, fatta crescere negli ultimi trent’anni da Gian Francesco Orsolani e ora condotta, sempre con la presenza del padre, dal figlio Gian Luigi.
In azienda vengono prodotte tutte le tipologie di Erbaluce e su circa 150 mila bottiglie totali ben il 90% proviene dal vitigno di casa, segnalo en passant il passito Sulé, la Cuvée Tradizione Gran Riserva metodo classico millesimato, il Caluso Vignot S. Antonio, ma io ho sempre amato particolarmente e giudicato esemplare l’Erbaluce di Caluso “La Rustìa” (che tradotta dal dialetto locale potremmo definire “l’arrostita” riferendosi alla tinta che assumono gli acini in piena maturazione) che nasce da vigneti posti su terreni morenici – sabbiosi, posti a 300-350 metri di altezza, con raccolta a maturità avanzata a fine settembre. La vinificazione prevede l’utilizzo esclusivamente dell’acciaio con lungo affinamento sui lieviti.
Colore paglierino verdognolo brillante molto luminoso si propone con un bouquet molto aperto fragrante, di buona freschezza e vivacità che da iniziali note di nocciola e mandorla fresca, di fiori bianchi, si apre verso note agrumate e molto salate. L’attacco in bocca è fresco, vivo, con un’acidità ben calibrata che si fa sentire e dà slancio al vino, una leggera vena tannica dovuta alla giovane età del vino, una buona struttura ricca di nerbo e vivacità e una chiusura su una leggera nota di mandorla. Da abbinare ad antipasti, minestr, pesce d’acqua dolce e piatti delicati a base di verdure.