Divertente come ho conosciuto questo vino. Ho un amico irpino che vive a New York e ha creato una società di importazione di vini italiani,
Enoclassica.L’amico, che si chiama
Michele Cianciulli, ed è “nu poco” chiacchierone, ogni tanto mi chiama per parlarmi della
N.Y. wine scene e per chiedermi notizie di questo o quel produttore (mi deve ancora una cena per un produttore pugliese che gli ho fatto conoscere e che ha inserito nel portfolio..).
Una delle ultime volte, non so perché, mi ha detto: conosci i Gavi del Poggio? Gli ho confessato di non conoscerli e allora Michele, che sta per importarli e me ne aveva parlato molto bene, ha trovato il modo di farmeli avere perché li assaggiassi. Ho così scoperto non solo che “’o guaglione”, come lo chiamo io, aveva visto giusto, ma che a Gavi era attiva una piccola azienda valida, che produce anche un Monferrato Dolcetto, il Rosso del Poggio di Gavi, che meritava interesse. Magari, vista la bellezza della zona, per passarvi un week end nel
bed and breakfast che l’azienda possiede e cui dedica energie insieme alla piccola azienda agricola vinicola.
Quella di Francesca Poggio, proprietaria dell’Azienda Agricola Il Poggio (nomen omen) è una vicenda simpatica, che vede la piccola azienda agricola, posta nel cuore della zona di produzione del Gavi Docg a Rovereto di Gavi e condotta ora da Francesca come prima era stata condotta dalla madre Franca, decidere negli anni Settanta di lasciare il lavoro a Milano per dedicarsi completamente al vino, chiamando Gaspare Buscemi ad avviare la produzione.
Ancora prima era stato il nonno ad innamorarsi di questa zona, che io ricordo anche per un’altra golosità, gli
Amaretti, ovviamente targati Traverso, di Gavi. Dapprima una vecchia cascina, poi ristrutturata e boschi utilizzati come riserva di caccia, quindi una vera azienda agricola collocata sul colle più alto del territorio del Gavi, con vigneti ad oltre 300 metri di altezza su terreni sabbiosi e argillosi. Due i Gavi Docg prodotti:
un’Etichetta oro, che si affina in carati di Agliè, che ho trovato buono ma non mi ha entusiasmato visto che non sono un fan del matrimonio vini bianchi – legno, e questo Etichetta nera (un packaging un po’ pesante che non rende omaggio alla naturalezza spensierata e alla felicità espressiva del vino) affinato in acciaio, nitido come dev’essere un Gavi o Cortese di Gavi.
Vini dai quali non devi aspettarti palette aromatiche spettacolari e ampiezze sul palato, bensì freschezza, sapidità e immediatezza di beva. Nel caso di questo vino, di cui ho degustato l’annata 2012, ma mi piacerebbe molto sentire annate precedenti, siamo perfettamente in linea. Colore paglierino brillante luminoso con sfumature verdoline, si propone con un bel naso secco, citrino, agrumato (netti gli
aromi di erba Luigia o limoncina), che poi apre su sfumature delicate di pesca bianca, nocciola fresca, mela, un bouquet ben salato e minerale. L’attacco in bocca è scattante, diretto, ricco di energia, non molto ampio e consistente (è un Cortese signori miei…), ma dotato di ottimo equilibrio tra acidità e frutto, con bel nerbo vivo, verticalità e grande ricchezza di sale. Il tutto in una cornice di grande pulizia e freschezza.
Un vino, dotato di una persistenza lunga e precisa, non spettacolare, ma che ha un pregio indiscusso: una volta stappato si fa bere molto bene. Senza tante storie.