Anche ora che l’estate è finita mi accorgo che così come ho fatto con la stagione calda continuo anche ora a stappare e bere, divertendomi assai, bottiglie di un vino che considero uno degli emblemi in bianco del Centro Italia e segnatamente di quelle due regioni, Marche e Abruzzo, che ne sono la culla. Datemi pure dell’enoprovinciale, visto che lo preferisco a tanti Chardonnay & Sauvignon italici o al Pinot grigio, ma a me ‘sto
Pecorino, questa nobile uve spesso oggetto di battute... pecoreccie degne di un Alvaro Vitali sebben sia una varietà seria, che merita rispetto (pare che sia di antiche origini e che le sue prime tracce risalgano “ai tempi di Catone il Censore (II secolo a.C.) che lo includeva tra le varietà portate in Italia durante le migrazioni greche”) continua a piacere un sacco. Mi piace questa varietà a bacca bianca dalla maturazione non tardiva che preferisce i siti collinari freschi ed elevati, perché ha un che di inusuale, di piacevolmente rustico che mi dispone bene e mi mette di buon umore.
Sulle reali origini del nome di questa cultivar non ci sono reali certezze, sebbene a metà dell’800 fosse presente anche in Umbria, Lazio e Puglia, come si può leggere
in questo interessantissimo excursus storico anche se tra le varie ipotesi la più divertente e romantica é quella che lo vorrebbe legato alla pratica della pastorizia transumante, tipica dell’Abruzzo: si dice che le pecore andassero pazze per questo tipo di uva che, maturando prima delle altre varietà regionali, era dolcissima nel periodo del loro passaggio, verso metà settembre. Transumanze dei pastori e delle loro greggi, che tradizionalmente avvengono nelle regioni dove appunto si trova il vitigno Pecorino.
Una certezza è però rappresentata dal fatto che nonostante anche in Abruzzo oggi si producano eccellenti Pecorino, cito
Cataldi Madonna,
Cantina Frentana e
Pasetti, il vero movimento di riscoperta e rivalutazione del Pecorino parta dalle Marche, dal cuore del Piceno, da Ripatransone in località San Savino, per opera di
Guido Cocci Grifoni. E' lui nella prima metà degli anni Ottanta che intuisce le potenzialità dei vitigni autoctoni e, in un mercato che preferiva dare spazio ai vini internazionali, inizia le sue sperimentazioni sulla Passerina e soprattutto sul Pecorino (
da leggere questa minuziosa ricostruzione storica), che all'epoca rischiava di andare perduto a causa della sua ridotta produttività.
Il 1983 è l’anno in cui viene piantata la “vite madre” e nel 1990 vede la luce la prima annata del vino protagonista dell’articolo di oggi, il punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia sapere cosa sia un Pecorino. Sto parlando del
Pecorino Colle Vecchio, che Guido e Diana Cocci Grifoni (che nel 1969 imbottigliarono tra l’altro il primo Rosso Piceno Superiore) e oggi le figlie Marilena e Paola producono (in 40 mila esemplari) da un vigneto posto da 180 a 230 metri di altezza, in collina, allevato a spalliera con cordone speronato, su terreno argilloso-sabbioso, con esposizione nord-est, nord-ovest e resa contenuta a 70 quintali ettaro, con raccolta dei grappoli manuale effettuato entro la prima decina di settembre e affinato semplicemente in acciaio, scelta cui plaudo, perché non amo i Pecorino “barricosi” falsamente barricadieri.
Sicuro della splendida tenuta e positiva evoluzione nel tempo del Colle Vecchio di Colli Grifoni (l’azienda produce un secondo Pecorino, una
Doc Falerio Colli Ascolani, denominato
Le Torri, uvaggio Passerina, Pecorino e Trebbiano, oltre ad una percentuale di altri vitigni a bacca bianca autorizzati nella Regione Marche) ho stappato qualche giorno fa un 2011 (gradazione alcolica importante, 14 gradi e mezzo) e l’ho trovato spettacolare.
Colore paglierino oro squillante, brillante, multiriflesso pieno di luce e allegria, si propone, in splendida forma, con un naso tipicamente caldo, solare, avvolgente e mediterraneo nel suo stile, tutto fieno secco, fiori bianchi, mandorle salate, miele, una leggera vena speziata che richiama l’anice, e una bella vena agrumata, con profumi di grande espansione, calore e nitidezza e con una bella vena minerale.
Ancora meglio la bocca, ben secca, asciutta, larga, piena di sapore e sostanza, con la piacevolissima “ruvidezza” tannica e grassezza tipiche del Pecorino, per un vino che si dispone ampio, voluminoso, goloso in bocca, molto pieno e succoso, eppure dotato di un’agilità e di un’incisività sorprendenti, con una vena lunga e precisa finale di mandorla, di pesca noce, che gratificano il palato. E che, sono pronto a scommettere, troverebbero il consenso anche della mia dolcissima lei, che con i vini Pecorino non ha un grande feeling…
Da abbinare e gustare su primi piatti saporiti, su pesci e carni bianche, nonché su salumi tipici del territorio ascolano e su un antipasto dove non manchino le celeberrime meravigliose
olive ascolane.