Ho già spiegato di recente,
in questo articolo dedicato ad un ottimo Vermentino sardo del 2008, come consideri un elemento fondamentale nella mia personale valutazione dei vini bianchi dotati di una qualità che non si limiti alla mera piacevolezza, alla cosiddetta “potabilità”, ma aspiri alla complessità e ad una espressione più compiuta, la capacità di quel vino di evolvere e migliorare nel tempo. Non ho alcun problema a dire che ai bianchi giovani, freschi d’imbottigliamento (spesso velati nei profumi dalla presenza della solforosa) prediligo bianchi più maturi, con un anno o due di riposo in vetro, più ricchi di sfumature. Non semplici vini “varietali” con i profumi e sapori delle uve d’origine, ma vini che grazie ai processi evolutivi che si verificano nello spazio chiuso di una bottiglia, esaltano al massimo la “verità” e l’unicità di espressione delle terre dove giacciono i vigneti e quell’interazione tra vitigno e ambiente per la quale i francesi usano l’intraducibile termine terroir.
Spiegata la mia “estetica” bianchista eccomi qui a scrivere e magnificare, e come potrei diversamente?, un grandissimo vino bianco campano, figlio della più grande delle varietà a bacca bianca di questa regione, di cui ho avuto modo di degustare recentemente, ma che dico bere gioiosamente, “strizzando” idealmente la bottiglia, ben due annate, la 2009 e la 2006. Non tacciatemi per favore di “eno-gerontofilia”, o di proporre vini con i quali è poi difficile confrontarsi, perché i Fiano di Avellino di Guido Marsella vengono commercializzati almeno dopo 18 mesi dalla vendemmia.
Questo produttore che sulle proprie etichette e
sul proprio sito Internet si presenta indifferentemente come viticoltore e come winemaker, pur essendo lontano anni luce dalle prassi e dai vizi dell’enologo consulente itinerante, ama “lasciare il mosto nei vasi vinari a maturare naturalmente in tutte le sue caratteristiche”. Chi conosce i bianchi dell’azienda irpina di Marsella, nata nel 1995 con vigneti di Fiano (sono otto gli ettari) piantati nel 1990 agli 800 metri di altezza di Summonte, con terreni franco argillosi con leggera struttura rocciosa, terreni molto porosi ricchi di sostanze nutritive tali da generare vini ricchi di estratto e acidità e dotati di naturale serbevolezza, con resa per ettaro di 60 quintali e anche meno, e sa come vengano fuori alla distanza, non fa assolutamente loro fretta, ma li lascia riposare in cantina (incrociando le dita ché il sughero faccia giudizio e non tradisca) concedendo loro tutto il tempo necessario.
Il resto, visto che il modo di operare di Marsella è il più semplice e naturale possibile, uva raccolta a mano in più passaggi scegliendo esclusivamente i grappoli perfettamente sani con pressatura leggera ed estrazione solo di mosto fiore e affinamento del vino esclusivamente in acciaio, è lasciato alla magia e al mistero insondabile di quell’angolo di terra dove è collocato il vigneto. Sottratti dal lungo stoccaggio in un locale dove la temperatura si mantiene costantemente a 15 gradi, e dove riposano per un anno e mezzo minimo anche gli altri due bianchi aziendali, il Greco di Tufo Poggi Reali prodotto a partire dal 2007 e il Falanghina Beneventano, i due Fiano di Avellino, il 2006, che avevo già trovato strepitoso un anno fa bevendolo presso l’ottimo
Ristorante Oasis di Vallesaccarda in Irpinia (se non lo conoscete provatelo, vale un viaggio), ed il 2009, mi hanno lasciato senza parole.
Paglierino oro scarico, brillantissimo, il più “giovane”, con un naso molto salato dove le note di agrumi, muschio, noce moscata, frutta esotica, mandorla prevalgono su una mineralità più sfumata anche se presente in secondo piano. Freschissima la bocca, vibrante, larga, piena, avvolgente, dotata di un equilibrio mirabile e di una tenerezza di espressione, di una ricchezza di sapore, da applauso. Ma le meraviglie non sono finite, perché con il 2006 (mezzo grado alcolico in meno del 2009, ovvero 13,5°) si prende l’ascensore enoico e si sale ancora più in alto. Il colore è un oro intenso squillante, rilucente di mille bagliori, integro e pieno di energia, ed i profumi, pur con una forte presenza di frutta gialla matura al punto giusto, di miele d’acacia, fiori secchi e fieno, mandorla e ancora noce moscata e agrumi leggermente canditi, è un trionfo della mineralità e del sale, con la pietra focaia a dettare il ritmo. Questo anche in bocca, dove l’attacco, finissimo, è nervoso, asciutto, una vena precisa e scattante di pietra di assoluta profondità e nerbo, e dove il Fiano conquista letteralmente il palato vellicandolo con una carezza vinosa soave, con una suadenza e un’integrità e una piacevolezza assoluta di beva che lasciano assolutamente ammirati e conquistano meravigliosamente il gusto.
Un grandissimo vino, uno dei bianchi italiani migliori che mi sia mai capitato di bere. Standing ovation, chapeau!