Normalmente di fronte ai vini opera di personaggi che sono diventati noti in altri campi e che al vino sono arrivati non si sa in base a quali percorsi e perché, storco il naso e tendo a diffidare. Persuaso che, come dice il proverbio, solo “l'occhio del padrone ingrassa il cavallo”, non ho una grande fiducia nei risultati che si possono avere con proprietari di aziende agricole e vinicole nelle quali gli stessi raramente mettono il naso. Generalmente i vini, affidati come sono allo strapotere di enologi consulenti (sempre gli stessi) che applicano ovunque si trovino le stesse ricette ed uno spirito di omologazione e appiattimento, sono noiosi e scarsamente
appealing.
Ci sono delle eccezioni fortunatamente, dovute a patron che anche se impegnati su molteplici fronti riescono, grazie alla loro personalità, a lasciare un segno preciso nelle loro aziende, a realizzare vini che abbiano carattere e non siano fatti con lo stampino secondo gli orientamenti, cangianti, delle mode e dei mercati.
Uno di questi, ho avuto il piacere di fare la sua conoscenza al Vinitaly, è il Grande guru della pubblicità
Gavino Sanna, di cui
potete leggere un breve ritratto qui, che dopo aver letteralmente ripensato e rivoluzionato la pubblicità italiana e aver lungamente lavorato negli States,
è tornato nella natia Sardegna per creare, nel
Sulcis iglesiente, sulle splendide colline che si affacciano sulla località di
Porto Pino, la
Cantina Mesa (mesa in sardo significa tavola, desco) che conta su 70 ettari posti in larga parte nell’area di Sant’Anna Arresi, coltivati a vitigni quali Carignano del Sulcis, Vermentino di Sardegna, Cannonau di Sardegna e nel giro di pochi anni è arrivata a produrre qualcosa come 850 mila bottiglie. Senza forzare, in souplesse.
Le etichette, bellissime, semplici e stilizzate, forse un filo troppo piccole, che riprendono con grafica moderna gli antichi arazzi sardi, propongono nelle retro piccoli componimenti poetici del direttore Luca Fontana, scritti con una vena e un’ispirazione davvero notevoli. Sanna, (parlandoci mi è apparso il tipo perfetto dell’uomo di genio, carisma innato e raro e grande sicurezza di sé, ma senza arroganza, anzi, una tranquillità, una perfetta padronanza di sé, uno stile e un carattere saldo, che mi hanno stupefatto) prima di creare Mesa non era un grande conoscitore di vino, ma il suo approdo a Bacco è avvenuto con idee perfettamente chiare e vincenti,
come appaiono in questa intervista del 2011.
Perché dedicarsi al vino e con quali obiettivi? Semplice, per “fare i più buoni vini della Sardegna se siamo capaci di farlo”. E come modificare la comunicazione del vino italiano? “Rifacendola da capo perché non è mai esistita e utilizzando un po’ di fantasia contro la pubblicità bulgara”. E poi, soprattutto, produrre vino per “vendere il territorio attraverso vini straordinari”, con lo scopo preciso di “vendere la mia terra”, perché “se non si ha talento si vende solo vino” e non sogni, cultura, ideali.
Mesa produce, oltre a vini rossi e grandi Vermentino due diversi rosati, uno base, denominato Primo rosato, che dovrebbe essere prodotto con uve Cannonau ed uno più ambizioso, il
Rosa Grande, che vede trionfare l’altra grande uva locale, il Carignano del Sulcis. Sperimentato a tavola, nella sua versione 2012, benché fresco d’imbottigliamento il Rosa Grande, le cui note poetiche in retroetichetta recitano “profumo di ombra mattutina. Toni morbidi della luce che nasce, fine come le nuvole sottili che dal mare annunciano ai grappoli assonnati il risveglio del sole”, mi ha convinto senza esitazioni e mi ha fatto capire di trovarmi di fronte ad un rosato serio.
Non molto da dire tecnicamente del vino, le cui uve arrivano da terreni di natura sabbiosa e calcareo-argillosi ricchi di scheletro, e la cui preparazione prevede una macerazione del mosto per circa 24 ore con le bucce a bassa temperatura, seguita da fermentazione intorno ai quindici gradi e affinamento in acciaio.
Bello, appena versato nel bicchiere, il colore, un cerasuolo brillante di grande intensità e profondità che evoca il succo di lampone e la ciliegia, di una luminosità, “il risveglio del sole” e “luce che nasce”, davvero splendida. Molto personale il naso, fitto, denso, caldo, ma elegante e senza noiose e prevedibili sdolcinature fragolose o “chewingose”, con uno spiccato tono mediterraneo scandito da note di rosmarino e macchia appunto… mediterranea, rosa di bosco, liquirizia, e di sale che precedono l’imporsi carnoso del lampone e del ribes.
L’impatto in bocca dà subito la misura di trovarsi di fronte ad un rosato importante, impegnativo, che richiama abbinamenti più da carni bianche (anche e soprattutto maiale oltre che pollame) che da pesce, e che se pesce dev’essere siano branzini, orate, saraghi, in preparazioni alla griglia o in umido anche con pomodoro. E poi, giustamente, primi piatti dal gusto deciso (tipo
Malloreddus con sugo di salsiccia,
Culurgiones al sugo,
Lorighittas di Morgongiori al sugo di galletto, Fregole al sugo casareccio, dove faccia la sua comparsa anche una spolverata di pecorino).
Un gusto pieno, ricco, succoso, materico direi, con la giusta tannicità conferita dal Carignano che si fa sentire e dà tono e carattere, una naturale dolcezza di gran polpa del frutto, buona larghezza e persistenza, alcol bilanciato ma presente (i gradi sono 13 e mezzo), ed un equilibrio che assicura la freschezza ed il sale (e la vena di mineralità) tale da salvaguardare piacevolezza ed una ben asciutta godibilità.
Un vino che profuma di terra e di Sardegna. Poteva forse un genio come Sanna “accontentarsi” di un rosatello qualsiasi?