Ricordo bene la prima volta che misi piede in questa cantina: era il luglio del 1994 (il primo di un’infinità di viaggi per lavoro e piacere in terra di Puglia) ed ero sceso in Salento (con una deviazione anche in Calabria) per incontrare l’enologo princeps dei vini pugliesi e visitare tutte le aziende di cui era straordinario consulente.
Parlo di
Severino Garofano, creatore di capolavori e capisaldi del vino della regione del tacco come Patriglione, Notarpanaro, Graticciaia, Duca d’Aragona, Le Braci, Girofle, e molti altri ancora come il Cappello di Prete, il Vigna Flaminio, Gravina, Pier delle Vigne, Scaloti, e direttore, cosa che sarà ancora per molti anni, della Cantina Sociale di Copertino, nel cuore della penisola salentina.
Ricordo la sorpresa nello scoprire, allora, come una cantina sociale pugliese potesse lavorare bene, facendo tesoro di quelle vecchie vigne ad alberello del vitigno identitario, il Negroamaro, e come lo facesse, alla grande, sia ottenendo grandi rossi, versione base e Rosso Riserva, sia rosati.
Ora Severino Garofano non lavora più a Copertino, e si occupa, nello stesso villaggio, della
propria azienda agricola insieme alla famiglia, ma a Cupertinum, dove è stato attivo sino al giorno della sua scomparsa un altro grande personaggi,
Mario Petito, presidente dal lontano 1985, oggi opera un altro enologo di vaglia, Giuseppe Pizzolante Leuzzi, e la qualità non conosce flessioni.
Merito dei vigneti sicuramente, dei soci, che dagli iniziali 36 nell’anno della fondazione della cantina, il 1935, sono diventati oggi 300, che controllano 350 ettari di vigna, e di un modo di lavorare semplice che punta a realizzare vini non da concorso (anche se negli ultimi anni anche le guide si sono accorte eccome della loro validità) ma perfettamente rappresentativi del territorio di origine e delle uve di cui sono espressione.
Il che, nel caso del magnifico Negroamaro, che io continuo a considerare la vera grande uva pugliese, più del Primitivo e di qualsiasi altra, si traduce in vini che abbinano uno spiccato carattere varietale, una buona complessità, una capacità di durare ottimamente nel tempo, ad una facilità di lettura e una contagiosa piacevolezza di beva.
Il che trattandosi di una Cantina sociale, che edita un bellissimo periodico culturale,
Cupertinum Dop. Il cuore del Negroamaro. Microcosmi / alta qualità, ricco di interviste e approfondimenti, è ancora più meritorio. Perché si tratta di cantina pugliese (terra dove tante cantine sociali non riescono ancora a raggiungere livelli qualitativi importanti) e non altoatesina…
In attesa di parlarvi presto del
Copertino rosso riserva (rapporto prezzo - qualità da applausi) voglio oggi concentrare l’attenzione su quello che Pizzolante Leuzzi definisce “il vino più difficile da fare. Ha bisogno di cure particolari, mezz’ora in più o in meno del mosto con le bucce e la tonalità cambia, il profumo cambia. E’ il vino di una notte, in una notte ci si gioca la sua qualità. Il Rosato del Salento è simbolo del territorio e dobbiamo sempre rivendicarne la paternità. Bisogna stare attenti alle mode (per esempio non mi convincono i rosati color pel di carota o quasi bianchi macchiati) perché rischiano di snaturare la salentinità del Rosato da Negroamaro, che ha questa bella nuance rosso corallo”.
Ed il rosato della Cupertinum, lo Spinello dei Falconi (e non fate ironie su questo nome, ché questo è un vino serio e non una roba da rave parties o similia…) la tipicità e la
salentinità la sciorina apertamente, con il suo alcol calibrato, un colore tra il buccia di cipolla, il rosa pallido, il corallo, con una leggerissima vena aranciata, il suo naso profumato di ciliegie, ma soprattutto di agrumi, di sale, di terra e di mare, con belle sfumature floreali, di grande pulizia, ampiezza e fragranza, secco e deciso al punto giusto e lontano da ogni tentazione “dolciona” o caramellosa.
Asciutto l’attacco in bocca, ben deciso, assertivo, fresco, di buon corpo e struttura, con un frutto succoso che dà polpa e larghezza, una bella acidità che spinge e dà freschezza ed energia, un perfetto equilibrio di tutte le componenti, con una bella verticalità fresca e viva, e un finale, di grande vitalità, dove si coglie ancora nel retrogusto una bella nota di agrumi e una vena salata.
Uno di quei rosati che quando li stappi, magari in compagnia di chi i vini in rosa li ama ancora più di te, finiscono in un battibaleno, abbinati magari ad un umido di pesce, ad una parmigiana di melanzane e, è un mio pallino e ci credo, ad una buona pizza.
Provare per credere…