Insomma, hai voglia a capire perchè questo San-zves è così buono e così underrated: certo i burocrati del vino devono avere per il vino lo stesso interessedei collezionisti: ha da piacer loro di guardarli. E leggere le scritte sull'etichetta.
A noi invece che veniam dalla campagna questo vino operaissimo delle ragazze di Castrocaro piace proprio perchè non ha mai visto il legno, vien via per due foglie di cipolla, e suona la rumba fin da quando precipita nel bicchiere. Perchè non è così nero come i SupeRomagnans: ma si lascia attraversare dalla luce con una certa indulgenza
E poi: ha il gheriglio della noce, e il suo mallo quando lo infili nei vasi per fare il nocino. E' diritto da essere quasi sfrontato, e nemmeno altisonante, e nemmeno stentoreo: ma trova il ricordo delle carte da giuoco, delle carte da briscola usate nelle osterie.
Non per calcare una passerella, ma per finire nei bicchieri di una tavola imbandita con i passatelli asciutti in porzioni cavalline: subito pronto in mezzo al palato, con le tensioni acide arrotolate su tannini balenghi e chiassosi, ma sinceri, intonati nella canzone del Sangiovese che vorremmo portarci nell'isola deserta.
Oh, un bicchiere di Sangiovese di Romagna, che alla cieca e al sessantesimo bicchiere potresti anche sbagliarti a Rùfina, 200 kilometri più giù. Non così elegante, non così prezioso, ma allevare un vino così, ad un prezzo così, su terreni così, andrebbe premiato con mille anni di prosperità.