Sono anni che conosco e apprezzo il lavoro in vigna ed in cantina di quel “vignaiolo filosofo” che è
Marco Perco, che realizza ottimi vini nel
Collio, a Capriva del Friuli, dieci gli ettari vitati ed una produzione inferiore alle 50 mila bottiglie, nella sua azienda agricola denominata
Roncus. Mi piace il suo approdo al vino, “
vinonaturalista” ante litteram, che non è biologico in senso stretto e non è biodinamico, ma è semplicemente dettato dal buon senso, ed esclude concimazioni e prevede la messa al bando dei diserbanti e un utilizzo di trattamenti fitosanitari limitato a rame e zolfo, che è “orientato al prodotto”, persuaso com’è Perco che “tutta la produzione è all’insegna del rispetto della natura: niente arte o super cultura, quella appartiene alla natura stessa”. Pertanto tutti i vini di Perco, una serie di bianchi strepitosi, prevedono che le fermentazioni avvengano spontaneamente, senza inoculo di lieviti selezionati, protratte per lungo tempo, lasciando i vini per un lungo periodo sul fondo fine per arricchire i vini di corredi olfattivi complessi, ed i vini vengono normalmente commercializzati ad un anno e mezzo dalla vendemmia, anche se poi godono di una vita lunghissima e di un’evoluzione in bottiglia sorprendente.
Di Perco apprezzo particolarmente un vino, l’uvaggio bianco Vecchie Vigne, circa 70% di Malvasia, 20% di tocai e 10% di ribolla, con percentuali che possono cambiare a seconda delle annate, che reputo uno dei migliori vini bianchi italiani in assoluto, complesso, importante, ma godibilissimo, cui ho dedicato negli anni tre articoli cui tengo molto e che potete leggere
qui,
qui e poi
ancora qui. Un vino figlio di una scelta accurata di vecchi vigneti delle tre varietà più significative presenti in vigna (anche se Perco produce un ottimo Pinot bianco, e poi un Sauvignon, oltre che un Collio bianco, e poi si diverte sul rosso con l’uvaggio bordolese Val di Miez) vinificato e affinato non in barrique – lui vuole che i suoi bianchi non debbano ossidare ma rimanere freschi e poter evolvere in bottiglia per diversi anni e non presentino aromi estranei che con le uve d’origine non hanno nulla a che fare – ma in botti di rovere di Slavonia per un anno.
In questa occasione non voglio parlarvi, anche se so che prima o poi lo farò anche qui, del Vecchie Vigne, ma di un vino più immediato e più giovane, ma non meno “roncusiano” che Marco mi ha fatto assaggiare, folgorandomi, nel corso di un recente incontro promosso dal suo distributore italiano, l’amico
Pietro Pellegrini, poco distante dalla Bergamo dove vivo. Sto parlando di un Collio Ribolla gialla 2012, da uve provenienti da vigneti in collina e da vigneti in pianura - i vigneti sono in parte in proprietà e in parte in affitto - con raccolta eseguita a mano con uve completamente mature, senza sovramaturazioni né uve botritizzate. Ed una procedura di vinificazione che prevede che la pressatura venga eseguita immediatamente all’arrivo dell’uva in cantina, senza macerazioni (deo gratias, di Ribolle macerate, che finiscono con il “macerarci” anche i “suddetti” quando le assaggiamo, ne abbiamo avute abbastanza… - con fermentazione con lieviti indigeni ad una temperatura di 20-22° in vasche di acciaio - permanenza sulle fecce fini per 6 mesi.
Commercializzato a partire da maggio questo vino, che esprime un’idea personale di Perco della Ribolla, con elevata acidità e basso grado alcolico (la gradazione è lodevolmente di soli 12 gradi) vuol essere un vino nel consueto stile Roncus, con spiccata mineralità e sapidità, grande piacevolezza ed eleganza, facilità di beva ed chiarezza di espressione, una immediatezza che solo gli stupidi potrebbero concepire come semplicità e carenza di complessità. Che nei vini del Roncus c’è sempre.
Bello il colore, nitido, splendente, un paglierino brillante e luminoso di buona intensità, e subito l’impronta nitida, elegante del vitigno che in questo angolo vocatissimo di Collio si esprime al meglio, con una florealità sottile e sinuosa, molto da fiori bianchi freschi ma anche una punta di fiori secchi e di fieno di montagna, che prevale su frutta bianca, agrumi, mandorle ed un pizzico di erbe aromatiche. Il tutto in una cornice di grande freschezza e sapidità, con assoluta fragranza ed un carattere aperto, direi quasi aereo, del vino. La bocca conferma questa finezza, con un timbro verticale, una magnifica acidità che dà nerbo ed energia al vino, che bilancia una materia prima dove la frutta è presente ma discreta e matura al punto giusto, direi ancora polputa e succosa, con una lunghezza e una persistenza ricca di sale, assolutamente viva e minerale, che chiude, in perfetto equilibrio, su una leggera nota di mandorla.
Un vino splendido che conferma la capacità di Perco (consulente anche di una piccola azienda sarda,
Sei Mura, del cui Vermentino vi parlerò presto) di creare bianchi di grande personalità, autentici classici del vino italiano di oggi.