Vintage mai come in questo caso è una parola che spiega se stessa: Bertani cerca, trova e rinnova la ricetta del vino veronese famoso già nella seconda metà del Secolo Lungo, quando l'estetica, l'uso e le aspettative erano assai diverse.
Eppure la classe e il metodo sono forti e importanti al punto da regalare un bicchiere che fa dell'inattualità una caratteristica austera e ritirata, come quei nobili di campagna ancorati alle loro case senza acqua corrente e luce elettrica, ma capaci di annodarsi la cravatta in 36 modi diversi.
Il "Secco" è ottenuto per l'80% da vitigni classici veronesi, cui si aggiunge un saldo di Sangiovese e una traccia di Syrah e Cabernet Sauvignon. Viene affidato a fermentazioni spontanee "nella cantina Bertani" e riposato nelle grandi botti di ciliegio e castagno, uso quasi dimenticato di queste lande.
Il vino che s'infila in bottiglia, vestito della stessa etichetta degli anni '30, è dichiaratamente inusuale, antimoderno, ma capace di risvegliare più di un sopracciglio: fosse per quel colore che resta vivido, brillante nelle scurezze, capace di accogliere la luce rubina fin dentro al cuore. Ha naso sferico, scolpito tra le complessità: facili i frutti, nascosti là dietro i vegetalismi che vorresti attribuire a quelle parti di Cabernet, ritrose le spezie dolci, terminale il fondo di caffè. Spesso e prolungato, esala solo al finale uno sbuffo di cipria, dolce.
L'assaggio è corpulento, ma non rinuncia ad una compostezza che fa venire in mente i fisici massicci ma capaci di movimenti aggraziati dei boxeur fin-de-siècle: non una passeggiata, con quel passo fitto di cacao e di ribes che rutila massaggiando energicamente le papille al suono degli alcoli. Il finale poi dilaga sul palato, umido e carnoso. Tannini come fili di tela di ragno, quasi invisibili ma tenaci, e presenti.
Bicchiere clamoroso, antistorico ma affascinante come i dischi in vinile. Ne vorrei una bracciata da dimenticare in cantina, per leggerne il futuro quando sarà passato.