Credo nella validità, anche nel mondo del vino, del concetto di esportabilità dei modelli. Pur con tutto il doveroso rispetto per le contingenti situazioni locali, e le differenze legate a terroir, tradizioni, identità, credo, ad esempio, che se in Friuli Venezia Giulia buona parte dei più grandi vini bianchi sono uvaggi (ovvero mix calibrati, diversi da azienda ad azienda, di varietà diverse) e se questi vini riescono magnificamente a rappresentare denominazioni e territori da cui provengono, penso che seguire il modello dell’uvaggio bianco potrebbe essere una valida strada anche in altre regioni e zone vinicole.
Soprattutto quelle dove si dispongono di tanti vitigni e non si voglia percorrere unicamente la strada del vino varietale. Penso all’Alto Adige ad esempio, ma soprattutto al Trentino dove la strada della vinificazione in purezza di un’uva abbondantemente disponibile come lo Chardonnay (non mi riferisco alla spumantizzazione metodo classico) non sta portando grandissimi risultati. Spesso agli Chardonnay trentini, ma anche ai Sauvignon, e alle altre varietà utilizzate da sole manca qualcosa.
Un filo di complessità, una sfumatura aromatica, una mezzatinta, un quid di gusto in più, quel sapere giocare su una tavolozza più vasta, che fanno la grandezza di un vino. Dovrebbero credere di più alla soluzione dell’uvaggio nella terra del Concilio di Trento, perché quando lo fanno i risultati sono da applausi.
E’ questo il caso, doppiamente sorprendente, perché il vino non è opera di un piccolo vignaiolo, ma è una selezione particolare prodotta dalla più grande cantina cooperativa trentina, Cavit, e della sua linea denominata Masi (Maso è una realtà tipicamente trentina e altoatesina con oltre duemila anni di storia) che comprende vini che “nascono dalla collaborazione con l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (Fondazione E. Mach), e rappresentano l’eccellenza della produzione Cavit: veri e propri ”cru” legati a un territorio ben definito, particolarmente vocato alla produzione di specifici vitigni”.
Il Maso Torresella Vigneti delle Dolomiti, come mi ha raccontato il bravo enologo Andrea Faustini (membro dello staff Cavit), fornendo le notizie utili che
non appaiono sul sito Internet, sorge sulle sponde del lago di Toblino in Valle dei Laghi, a circa 20 km a nord del lago di Garda, e può contare su un vigneto sperimentale, progettato e realizzato nel 1988, posto a 250 metri di altezza, allevato a Guyot e cordone speronato con densità d’impianto di 5.000 ceppi per ettaro e produzione di uva per pianta di circa 1,2 Kg, posto in una zona incuneata tra i monti ai piedi delle Dolomiti. Quest’area si è formata in seguito allo sbarramento della valle ad opera del conoide del fiume Sarca, un deposito di materiali che il fiume stesso ha trasportato verso valle nel corso del tempo, dando origine a terreni ben drenati e ricchi di scheletro (ciottoli) in profondità.
Vigneto che gode di un clima speciale sub-mediterraneo ed è caratterizzato dalla presenza di
due venti di natura termica, che si alternano durante il giorno: la mattina,
da nord verso sud soffia il Pelèr, mentre il pomeriggio,
da sud verso nord soffia l'Ora. La costante presenza di questi due venti, genera dei notevoli sbalzi termici tra giorno e notte e ciò contribuisce a preservare nell’uva quella freschezza dei profumi e dei sapori che si ritroviamo anche nel vino. Perché considero questo Maso Torresella un ideale di uvaggio Trentino? Perché è una calibrata sintesi di Chardonnay (circa 50%) e di Sauvignon blanc a cui vanno aggiunti il Gewürztraminer e il Riesling Renano in quantità che in Cavit non rivelano nemmeno sotto tortura.
Uve raccolte manualmente nel periodo tra il 12 e il 16 settembre 2011, sottoposte a diraspatura e pigiatura, quindi “a macerazione a freddo (10 °C) del mosto a contatto con le bucce per circa 6 ore, in modo da facilitare l’estrazione aromatica. Successivamente, dopo la separazione dalle parti solide, il mosto è stato fermentato in recipienti in inox, controllando la temperatura (19 °C).
Il vino è stato affinato sur lie fino al momento dell’imbottigliamento, che è avvenuto a maggio 2012 ed ha proseguito la fase di affinamento in bottiglia per altri 6 mesi prima della commercializzazione”. Il risultato, con dati analitici che parlano di 12,50 gradi alcol, 5,70 di acidità totale, e 3 grammi litro di zuccheri residui, è un grande vino bianco, prodotto in 5.394 esemplari, che Cavit suggerisce di abbinare a capesante gratinate, antipasti di pesce anche crudo; primi piatti con paste e risotti alle verdure; secondi di carni bianche con sughi a base di pomodoro e olive, che la mia adorabile Lei ed io abbiamo trovato assolutamente delizioso, convincente, anche per lei che non ama le uve aromatiche, sotto ogni punto di vista.
Splendido il colore, un paglierino oro brillante molto luminoso, e subito il primo coup de foudre (non forte come quello che ho ogni volta che rivedo lei…) posto il naso nel bicchiere: un bouquet complesso, variegato, ricco di sfumature (pesca bianca, agrumi, frutta esotica, fiori bianchi e rosa, miele d’acacia, frutta secca, una leggerissima speziatura) eppure fresco, salato, e percorso da una sottile “corrente” minerale.
Il tutto in una cornice di grande eleganza e armonia. Seconda “scossa”, positiva, dal primo impatto in bocca, larga, piena, dolce come espressione (non nel senso di zuccherosa), succosa, di bella grassezza e consistenza, lunga e molto persistente, con densità, calore, espansione, eppure ricca di grazia, freschissima, sorretta da un bel nerbo vivo e preciso che consente al vino di procedere in profondità, con andamento verticale, oltre che in larghezza. Un vino di grande equilibrio, salato e minerale nel retrogusto, dotato di uno stile assolutamente personale e di una capacità di farsi bere meravigliosamente bene. E’ questo, perbacco, il Trentino del vino che mi piace!…