Quale limite riscontrano molti osservatori ed appassionati esteri, spesso non conoscendoli perfettamente, a molti vini bianchi italiani? Quello di essere buoni, fragranti, profumati, beverini, spesso dotati di un bel corredo acido e di una certa freschezza, di farsi bere bene, ma di essere vini che durano
l’espace d’un matin, che vanno colti e apprezzati molto giovani e che non durano nel tempo.
Discorso a parte per taluni Chardonnay fermentati e affinati in legno (tre nomi: Gaja, Cà del Bosco e Lageder) che dopo anni di riposo in cantina presentano complessità e caratteristiche degne di un Bourgogne di vaglia e sicuramente superiori a qualsivoglia
oaked Chardonnay del Nuovo Mondo, basterebbe costringere questi giudici superficiali a degustare un Terlano di almeno dieci anni, se non trenta, della Cantina Produttori di Terlano, o qualche Soave classico o Verdicchio dei Castelli di Jesi di qualche cru e selezione felice (Gini, Pieropan, il Cuprese della Colonnara, la riserva di Ampelio Bucci) o cose sorprendenti come vecchie Vernaccia di San Gimignano di Montenidoli o vecchi Arneis del Roero della Cornarea, il Colli di Luni Vermentino Sarticola di Ottaviano Lambruschi, il Pigato Le Pietraie di Lupi, i Pigato Spigau di Rocche del Gatto o l’Etna bianco Pietramarina di Benanti, per fare capire agli osservatori esterni che anche sui bianchi da lunga gittata, e non necessariamente “barricati”, ma semplicemente affinati in acciaio, abbiamo la nostra da dire.
A questa schiera, necessariamente incompleta, tirata giù velocemente in base ai ricordi, di bianchi in grado di reggere e diventare ancora più splendenti nel tempo voglio ora aggiungere un altro bianco che stappato e bevuto a cinque anni dalla vendemmia ha dimostrato tesori di complessità. Ed una piacevolezza straordinaria.
Sto parlando di un bianco sardo, e quindi ovviamente un Vermentino, prodotto da un’azienda di cui ho celebrato di recente,
qui, un ottimo rosato, azienda, la Cantina Mesa di Sant’Anna Arresi, che come ho già detto è stata creata da quel grande genio della pubblicità che è Gavino Sanna.
Opale, questo il nome del vino, un Vermentino di Sardegna Doc, è uno dei tre vini che formano, con Giunco e Opale dopo, la gamma dei bianchi di Mesa, ottenuto da vigneti di Vermentino, di venti, trent’anni d’età posti nel territorio assolato del Sulcis su terreni di natura calcarea argillosa ricchi di scheletro e di elementi minerali, ed il vino di cui voglio parlarvi non è il pur interessante 2011, che ha già una sua indubbia piacevolezza, ma sembra essere un vino con ancora tanta strada da percorrere, bensì l’annata 2008, stappata con cinque anni di vita alle spalle.
Un vino sorprendente, di cui segnalo le note poetiche di presentazione presenti in retroetichetta, vergate dal direttore Luca Fontana, - “Colore caldo di onde al crepuscolo, riflessi di rocce indorate da licheni e scaglie di luce, profumo di notte che avvolge i grappoli accesi come stelle ubriache di sole” – che degustato in compagnia della persona che mi ha fatto conoscere questa cantina e che l’ha introdotta sul piccolo, vivacissimo, promettente mercato della Polonia, ovvero Elisabeth Babinska Poletti, ho trovato splendido per vitalità ed energia e dotato di un carattere spiccato davvero importante.
Colore giallo paglierino oro squillante, dotato di una consistenza notevole nel bicchiere, svetta immediatamente, pur nella larghezza del corpo, nella sua densità solare e mediterranea, nella sua intensità aromatica, che evoca la frutta gialla ben matura, la mandorla, la macchia mediterranea, i fiori bianchi in piena fioritura, un leggero accenno di miele e di anice, per lo svettante tono salato, salmastro, marino, per una mineralità che richiama la pietra focaia baciata dal sole.
Ancora più sorprendente il palato, largo, suadente, di consistenza cremosa e asciutta, al primo impatto, ben consistente e pieno, con una fruttuosità notevole e una calibrata vinosità, dotato di una consistenza setosa, eppure, grazie alla sua mineralità, che ritorna prepotente e dominante anche al gusto, ricco di nerbo, freschissimo, vitale, perfettamente equilibrato e armonico in tutte le sue parti, ancora giovanissimo ed in splendida forma e tale da regalare un finale lunghissimo, persistente, ricco di sale e perfettamente pulito, che invoglia al bere, da solo o in abbinamento a preparazioni anche impegnative a base di pesce, alla griglia soprattutto, o a primi piatti con pesce e verdure, e gratifica e mantiene una freschezza, un’energia straordinarie.
Un grande vino bianco, di quelli che sanno reggere e vincere la sfida del tempo…