Come cucinare con l'aceto balsamico DOP: caratteristiche e abbinamenti
Vi raccontiamo le differenze tra aceto balsamico IGP e DOP, la produzione e la storia di un condimento antichissimo. Siamo stati in un'acetaia per provare a fare chiarezza e comprendere la diversità fra le due denominazioni che indicano due prodotti molto lontani. A partire dal sapore e dal costo. Da conoscere per scegliere con consapevolezza
Le due tipologie
Dietro la parola balsamico si estende però un intero universo, nel quale non è semplice districarsi per gli appassionati, per i consumatori, per i giuristi e talvolta nemmeno per i produttori.
Per meglio affrontare il tema siamo andati a trovare Andrea Bezzecchi, che ci ha risposto nel duplice ruolo di Mastro Acetaio e di Presidente del Consorzio di Tutela dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia DOP. Bezzecchi infatti produce da 25 anni aceto balsamico tradizionale e collaterali – crudi e cotti – prendendo le mosse da una collezione di barili di famiglia e trasformando poi l’attività amatoriale in un'impresa, con una laurea in giurisprudenza appesa alla parete della sala degustazioni.
Tutto si gioca sulla comprensione di due importanti denominazioni: aceto balsamico di Modena IGP e aceto balsamico tradizionale DOP; il balsamico IGP è la quarta più importante - in termini commerciali – denominazione europea dietro i colossi Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Prosciutto di Parma; il balsamico tradizionale DOP, di Reggio Emilia e/o di Modena, costituisce invece una piccolissima enclave di straordinario valore culturale ma di ridotta portata economica: si parla dello 0,0001% del valore annuale della produzione.
Partiamo dalle basi, spiegando i vari termini:
ACETO: sostantivo, prodotto della fermentazione di liquidi a bassa gradazione alcolica, per l’azione di batterî aerobî del genere acetobatterio.
BALSAMICO: aggettivo, di sostanza che che ha le qualità d’un balsamo.
TRADIZIONALE: che proviene dalla trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze.
Ora che abbiamo chiare tutte le definizioni, possiamo interpretare le differenze tra due prodotti che sono completamente diversi dall’origine al procedimento, dal contenuto fino all’uso e al prezzo di mercato, ma che per intense attività di marketing generano ambiguità all'occhio del consumatore.
Le differenze tra aceto balsamico IGP e aceto balsamico tradizionale DOP
- Ingredienti
Aceto balsamico DOP: mosto d’uva cotto
Aceto balsamico IGP: aceto di vino, mosto cotto e/o concentrato, caramello - Procedimento
DOP: doppia fermentazione (alcolica e acetica) del solo mosto cotto
IGP: miscelazione degli ingredienti - Materia prima
DOP: esclusivamente uve “tradizionali” dei territori di Reggio Emilia o Modena
IGP: elenco di 7 vitigni di origine non tassativa per i mosti cotti e/o concentrati, senza specifica né di vitigno né di provenienza per gli aceti di vino - Zona di produzione
DOP: esclusivamente le provincie di Reggio Emilia o Modena
IGP: la sola miscelazione e l’affinamento devono avvenire nella provincia di Modena e Reggio Emilia - Affinamento
DOP: batterie (serie) di botti di legno diversi e di capacità decresente
IGP: botti di legno - Invecchiamento
DOP: almeno 12 anni
IGP: 60 giorni - Ossidazione
DOP: manuale per travasi e rincalzi.
IGP: non prevista. - Imbottigliamento
DOP: in presenza dell’organismo di controllo al 100% per Reggio Emilia e al 10% per Modena e, in ogni caso per entrambi, sempre e solo dopo l’analisi chimica e sensoriale di ogni lotto
IGP: da parte dei produttori - Qualità organolettiche
DOP: profondità e complessità derivanti dall’ossidazione e lunghissimo invecchiamento
IGP: sensazione agrodolce ottenuta dalla miscelazione di aceto agro di vino e e mosti d’uva cotti o concentrati - Aspetto
DOP: bruno scuro carico e intenso, grande viscosità dovuta alla lentissima evaporazione
IGP: bruno scuro che può essere ottenuto anche grazie al caramello. Densità variabile - Densità:
DOP: non rilevante
IGP: rilevante, ottenuta con addensanti - Costo:
DOP: da 500 a 1100 euro al litro
IGP: da 4 euro al litro - Resa:
DOP: nel processo produttivo si perde oltre il 90% dell’ingrediente di partenza (uva) dopo 12 anni d’invecchiamento
IGP: senza perdite significative
Nonostante infatti a una degustazione parallela i due prodotti siano immediatamente riconoscibili anche a un palato distratto, lo scostamento tra le due denominazioni è percepito in modo ambiguo o sfumato. Confidiamo di aver fatto un minimo di chiarezza. “È importante sapere che la rilevante differenza di prezzo tra i due prodotti – continua Bezzecchi – è la sintesi della profonda differenza produttiva sia in termini di materia prima che di tempi di affinamento”.
In questa sede ci occupiamo in particolar modo dell'aceto balsamico “tradizionale”, ovvero quello DOP, che ci affascina come prodotto di una terra e di una cultura. Vi raccontiamo in breve la sua storia e il suo uso in cucina.
L’aceto balsamico DOP in cucina
La sua origine medicamentosa, il suo elevato costo di produzione, i tempi storici del suo affinamento lo hanno reso nei tempi un prodotto esclusivo alla portata di famiglie nobili o comunque agiate, e non certo delle numerose comunità del reggiano e del modenese, dove la sussistenza era ancora un obiettivo.
Le straordinarie qualità organolettiche del balsamico tradizionale hanno dunque conquistato il cuore dei buongustai solo in tempi recenti, influenzando profondamente la cucina emiliana domestica e non, per cui proviamo a delinearne gli aspetti fondamentali.
Come conservare l'aceto balsamico DOP
Il freddo molto freddo e il caldo molto caldo possono danneggiarlo, ad esempio, con la cottura. Per il resto l’ampolla di aceto balsamico tradizionale è immortale.
Gli abbinamenti
È perfetto in semplice accostamento a ingredienti primari con importante componente grassa come il Parmigiano Reggiano, iodata come i crostacei, amidosa come la patata lessa, o dolce; vi sorprenderà una goccia di aceto balsamico tradizionale sulla crema di gelato.
Si adatta bene anche alle ricche minestre della tradizione emiliana, come vengono chiamati in quella terra i primi piatti: con i tortelli di zucca o le tagliatelle al burro o i cappelletti/tortellini alla panna. Tra le pietanze sa esaltare gli arrosti sia di bassa corte (anatra, coniglio) che di grossa taglia. Vivacizza i piatti di selvaggina e trova una misura anche con verdure scottate (porri, radicchi) al forno (cipolle, zucca) o fritte.
Qualche goccia di aceto balsamico su una fetta di torta nera, su una panna cotta o uno spicchio di torta di mele aprono le porte a un intero universo di sensazioni.
Se nell’immaginario collettivo l'aceto balsamico è associato alla decorazione del piatto, dobbiamo rimarcare che l’effetto è ottenuto con glasse o prodotti addensati o addittivati, mentre l’aceto balsamico tradizionale vuole una distribuzione a misura, goccia a goccia.
Solo le piccole dosi hanno così modo di insinuarsi nella combinazione di sapori del piatto per esaltarle, valorizzarle e trasformarle in una esperienza papillare preziosa e unica.
Una ultima nota: il balsamico tradizionale non va d’accordo con le spezie molto pungenti, eccessivamente aromatiche o troppo presenti, ma si avvantaggia di un tocco salino, ad esempio di sale in fiocchi, che ne esalta la complessità. Non ama il piccante, ma un’idea di pepe ne può aumentare l’intensità. Non va mescolato con l’olio extravergine, ma convive in piatti che ne contengono una traccia a crudo.
La regola unica e fondamentale è la misura: un tocco funge da esaltatore dell’universo gustativo del Tradizionale. Un eccesso lo travolge.
Dove e come si produce
Il primo passo del processo produttivo è la cottura del mosto: le uve previste dal disciplinare vengono spremute e il mosto è scaldato per circa dodici ore a temperatura leggermente inferiore a quella di ebollizione, con la perdita di circa il 50% dell’umidità.
A raffreddamento avvenuto il mosto cotto viene trasferito nelle badesse, le grandi botti in cui si scatena prima la fermentazione alcolica, poi grazie al continuo contatto con l’ambiente, la lentissima fermentazione acetica. Ossigeno e batteri acetici trasformano gli zuccheri fino a costituire la base per il rincalzo dell’ultima botte.
Conviene sfatare il mito delle “madre” dell’aceto: la trasformazione acetica infatti avviene per l’azione degli acetobatteri che in presenza di ossigeno prosperano gagliardamente, e prendendosi tutto il tempo necessario trasformano il liquido leggermente alcolico – che non si può chiamare né vino né “vinello” – in aceto. Questa fase della produzione è del tutto naturale: non può e non deve subire forzature, ha quindi tempistiche e risultati assai variabili da qualche mese a uno e due anni.
Interessante notare quanto il prodotto sia figlio del territorio: i legni utilizzati sono infatti segno e memoria della provincia che li ospita. Castagno, dalle coltivazioni montane. Ginepro, dagli aspri boschi appenninici. Gelso, coltivazione diffusa nei secoli per il nutrimento die bachi da seta. Ciliegio, amabile albero da frutta. Acacia, diffusa nei corsi d’acqua. E poi in varia quantità carpino, frassino, robinia ed altro.
Il clima stesso è un fattore di incremento della qualità del Tradizionale: non a caso le “batterie” giacciono nei solai, molto caldi d’estate e molto freddi d’inverno, in cui i profumi si esaltano, l’ossidazione è lenta ma potente, l’evoluzione radicale.
I consorzi di tutela poi vigilano sulla rispondenza del prodotto alle rigide disposizioni del disciplinare: con modalità diverse tra Reggio e Modena ma con pari volontà di esasperare la selezione e la qualità del prodotto imbottigliato.
I consorzi ne curano anche la classificazione, con differenti suddivisioni organolettiche e di invecchiamento, determinate soprattutto con l’assaggio. Non c’è dunque alcun automatismo, ma una verifica per un prodotto che ha nella sua umanità la caratteristica principale.
La storia dell'aceto balsamico tradizionale DOP
Per restare ai documenti invece troviamo per la prima volta nel Palazzo Ducale di Rubiera, al confine tra Reggio e Modena, la citazione dell’aceto balsamico, a fianco dell’aceto tout-court nelle vettovaglie di corte.
Da qui nasce – come anticipato - la consapevolezza che il Tradizionale non era un prodotto popolare, e probabilmente non era nemmeno un prodotto di cucina. Il “balsamo” invece era indicato per affezioni dell’apparato respiratorio e digerente, e ciò è suffragato da moderne ricerche che ne confermano le qualità disintossicanti e cardiotoniche.
Dunque il balsamico tradizionale era presente nelle case aristocratiche quasi come gesto di valore, tanto che una tradizione radicata voleva la “batteria” creata alla nascita del figlio e rilasciata in dote per la maggiore età o per il matrimonio.
Possiamo dire dunque che il balsamico tradizionale più che una attività economica è un condensato di territorio e cultura che attraversa il tempo come vettore di un incantesimo legato alla storia, alle persone, all’entità stessa del patrimonio delle provincie di Modena e Reggio.