5 cose (più una) che non facciamo più al ristorante all’epoca del coronavirus
La pandemia ha cambiato le nostre vite da molti punti di vista, e ancora le sta cambiando: ecco un elenco semiserio di abitudini che abbiamo perso quando mangiamo fuori casa. O che sarebbe meglio perdere
Non ci diamo più la mano, non ci abbracciamo più (o comunque molto poco), niente più baci sulla guancia per salutarci: da marzo 2020, con l’arrivo del coronavirus anche in Italia, con il lockdown, le zone rosse, il distanziamento sociale e le mascherine, la nostra vita è cambiata. Non solo nei rapporti con gli altri, ma anche nei rapporti con le cose, le situazioni, i posti. Come i ristoranti, dove già ci sono (o ci dovrebbero essere) monoporzioni per pane e condimenti e dove anche le nostre abitudini si stanno modificando a causa della Covid-19. Di seguito, ecco alcune delle più evidenti.
Non si sfoglia più il menù
Prima del coronavirus, la sequenza era più o meno questa: si entra, si chiede se c’è un posto (o il nostro posto, se abbiamo prenotato), ci si siede e si attende che il cameriere porti il menù. Adesso, non solo la prenotazione è pressoché obbligatoria, anche per ricostruire la catena di eventuali contagi, ma pure del menù non c’è praticamente più traccia: la prima volta che lo vediamo, il cameriere spiega come utilizzare lo smartphone per inquadrare uno qualsiasi dei Qr Code presenti in sala e accedere alla versione 2.0 della lista delle portate. Come se ci servisse un’altra occasione per tirare fuori il telefono a tavola...
Basta con il “fammi un po’ assaggiare quello che hai preso tu”
Intenzionale o meno, l’ordinazione di gruppo, soprattutto nel caso di tavolate molto ampie (che però stanno sparendo, si veda più sotto), è sempre stata parecchio diffusa: si ordinano 4 primi diversi, 5 secondi e poi si prova un po’ di tutto, ci si passa i piatti, si pesca uno da quello dell’altro. È un’usanza poco garbata in momenti normali e molto rischiosa in periodo di coronavirus. E che infatti sta sparendo e i ristoratori sconsigliano.
Niente più “ho portato 2 cucchiaini per il dolce”
Questo è il seguito del punto precedente, e di solito arriva alla fine della cena (o del pranzo, per i più golosi): non tutti ordinano il dolce, se si è in due lo fa di solito quello/quella più incline a cedere alle tentazioni. In questi casi, il cameriere lo accompagna abitualmente con una strizzatina d’occhio e il classico “ho portato 2 cucchiaini, così se ne vuole assaggiare un po’...”. Non accade più, o almeno accade molto più raramente, giusto nel caso in cui i commensali siano congiunti fra loro... o siano sul punto di diventarlo. In tutte le altre situazioni, chi vuole il dolce farà meglio a ordinarselo.
Addio a pizzate con amici, pranzi con la classe, cene della palestra
Un classico di inizio estate, o di fine estate, o di fine anno, o di qualsiasi occasione è buona: si sta per andare in ferie, oppure si salutano gli amici delle ferie, oppure il corso di spinning chiude 2 settimane e “ci si vede dopo la Befana”... In tutti questi casi, quello che si faceva era organizzare una cena da qualche parte con 15-20-30 partecipanti. Che è una pratica che i ristoranti non vedono più molto di buon occhio e che pure il buon senso consiglierebbe di abbandonare. Perché più si è, magari a venti centimetri l’uno dall’altra, con buona pace del distanziamento, più è facile che il virus si diffonda.
Non si soffia più sulle candeline della torta di compleanno
Anche qui, conseguenza del punto precedente, perché i compleanni sono (erano?) uno dei principali motivi di assembramento intorno a un tavolo: sarebbe meglio evitarli, o comunque contenere il più possibile il numero di invitati. Con un’aggravante: visto che il coronavirus si diffonde attraverso le “droplet”, le goccioline che emettiamo con il naso e soprattutto con la bocca, adesso chi è che ha il coraggio di mangiare una fetta di torta su cui un tizio che magari conosciamo appena ha soffiato tutte le droplet che aveva in corpo? E magari pure ripetutamente, perché spegnile un po’ 47 candeline tutte in una volta...
Fumare a fine cena? Più rischioso di prima
Lo scriviamo subito, a scanso di equivoci: è un’abitudine brutta e pericolosa di suo. Nonostante questo, c’è chi non rinuncia a una sigaretta a fine pasto, soprattutto se in compagnia. E però, oggi è meglio essere preparati e avere tutte l’occorrente con sé: basta con le sigarette condivise (di nuovo, a meno di non essere congiunti o in procinto di), basta con “ho il tabacco, te la preparo io” (perché alla fine serve la saliva per chiuderla), soprattutto basta col farsi prestare l’accendino dal cameriere, da un passante, da uno sconosciuto qualsiasi. Perché la mano con cui tocchiamo quell’accendino, che non si sa da chi è stato toccato prima, è la stessa che usiamo per portare la sigaretta alla bocca.
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.