Che cosa mangeremo (e come) nel 2021? 12 tendenze e novità dell’anno post-pandemico

Attenzione alla salute, attenzione all’ambiente, nostalgia: sono i 3 atteggiamenti che condizioneranno il nostro stare a tavola. Ecco che cosa cambierà, dal punto di vista di chi produce il cibo, di chi lo vende, di chi lo mangia

Abbonamenti ai ristoranti come fossero Netflix, corsi di cucina online, impennata del food delivery, tanta attenzione alla sostenibilità, tantissima al benessere personale e nostalgia per quello che abbiamo smesso di fare e probabilmente non faremo più, o comunque non più come prima. Per quanto riguarda cibo e alimentazione, ma in generale un po’ in tutti i campi, fare previsioni per il 2021 è insieme più difficile e più facile del solito: più difficile perché dopo quello che è successo nel 2020, nel nuovo anno può accadere davvero di tutto; più facile perché, appunto dopo quello che è successo nel 2020 ci sono indicazioni che è ormai impossibile ignorare.

Di seguito, ecco i 12 trend che già ora possiamo immaginare per l’anno appena incominciato.

1. Ristoranti “in streaming” e menù personalizzati

Come si è visto in autunno, il concetto di “mangiar fuori” è uno di quelli più stravolti dalle norme anti-coronavirus, perché i ristoranti rischiano di trasformarsi in luoghi di potenziale diffusione del contagio. Dovranno cambiare, non (solo) come hanno provato a fare in primavera: avranno meno posti a sedere, saranno magari riservati a occasioni speciali, anche con menù su misura da concordare al momento della prenotazione.

Un’altra tendenza che già si può intravedere è quella degli abbonamenti, dei ristoranti “in streaming” come fossero Amazon Tv o Disney Plus: si paga una quota fissa e si riceve a casa un certo numero di pasti alla settimana. È quello che Freshly fa negli Stati Uniti, con piani da 4 a 12 pasti ogni 7 giorni.

Inoltre, grande spazio alla tecnologia: faremo ancora più uso di Qr Code per consultare i menù e ordinare, anche di schermi per vedere quello che vorremmo mangiare. Per noi clienti diventeranno ancora più importanti le norme di comportamento e le attenzioni che a settembre anticipammo parlando delle 5 cose che non facciamo più al ristorante all’epoca del coronavirus, come l’addio alle tavolate numerose, alle cene con tutti i colleghi di lavoro, all’abitudine di soffiare sulle torte di compleanno e così via.

2. Tutto a domicilio, compresi i meal-kit degli chef stellati

Fra primavera e inverno 2020 abbiamo tutti ordinato tantissimo cibo a domicilio e siamo diventati campioni di PayPal e Satispay, costretti a casa dal lockdown e impegnati nello smart working. È pressoché certa una decisa impennata di questo tipo di comportamenti, con un paio di variabili interessanti.

Intanto, come già si inizia a vedere nelle città più grandi (a Milano, per esempio), i ristoranti stanno cercando di sganciarsi dai colossi del delivery, creando loro piattaforme online per gestire gli ordini, le transazioni, i rapporti con i clienti, perché togliendo di mezzo un intermediario si toglie di mezzo un costo e si massimizzano i profitti.

Si punterà a cancellare l’equazione che vuole il cibo a domicilio associato alla scarsa qualità, visto che sono sempre di più gli chef, anche stellati, che creano quelli che gli americani chiamano meal-kit: il cliente riceve le portate a domicilio e completa la cottura nella sua cucina. Fra gli altri, lo hanno fatto e lo fanno Antonia Klugmann, Massimiliano Alajmo e pure Massimo Bottura. Questi kit non costano poco: per il menù da 4 persone con l’anatra laccata dell’esclusivo Eleven Madison Park di New York si spendono poco meno di 500 dollari.

3. Più verdure e meno carne (e più non-carne)

Nel 2021 mangeremo tantissime verdure e tantissimo cibo a base vegetale, proseguendo una tendenza cominciata già a fine 2019 e che la pandemia ha accelerato. Le ragioni sono tante e diverse: innanzi tutto, perché negli ultimi 12 mesi anche i più scettici hanno iniziato a rendersi conto di quanto costa, in termini di inquinamento, produrre carne, latte e uova e altro cibo di derivazione animale (sul Cucchiaio ne scrivemmo a fine luglio in Quello che mangiamo è quello che inquiniamo: così la nostra alimentazione influisce sulla nostra “carbon footprint”).

Poi, perché stanno crescendo timore e sfiducia verso questi prodotti, soprattutto quando si parla di giganteschi allevamenti intensivi da decine di migliaia di capi di bestiame, che magari si trovano chissà dove nel mondo. È anche una questione di salute personale: ormai c’è poco dibattito sul fatto che le carni rosse molto lavorate, e in generale tutto il cibo ultratrasformato, sono dannose per il nostro corpo e aumentano il rischio di sviluppare alcuni tumori, come ha confermato pure l’Airc. Infine, perché oggi c’è la possibilità di trovare alternative non solo più sane, ma pure gradevoli al palato.

4. Più attenzione alla salute e al benessere personale

Questo discorso è stato sicuramente influenzato dal coronavirus, soprattutto per 2 ragioni. Alle normali preoccupazioni, che man mano che diventiamo grandi ci portano versi cibi che non abbiano effetti degenerativi e anzi benefici, come le verdure o gli alimenti a base vegetale, nel 2020 si è aggiunta pure l’ansia di non ammalarsi, che ci ha spinto (e ancora ci spingerà) verso un’alimentazione più salutare.

Poi c’è la questione dello stile di vita più sedentario che stiamo conducendo, volenti o no: se passiamo più tempo in casa, sedute sul divano, a guardare serie tv e sfornare torte (qui vi abbiamo consigliato le 16 più amate e più preparate), ovviamente cerchiamo di alimentarci con cibo più sano, meno grasso, più facilmente digeribile e anche con bevande meno zuccherate e meno alcoliche. Un dato su tutti: nel corso dell’ultimo anno, le ricerche su Google della ricetta del kombucha, un tè fermentato di origine orientale cui sono attribuite proprietà benefiche, sono cresciute tantissimo in tutto il mondo, del 300% in Giappone, del 350% in Russia e negli Stati Uniti, del 750% in Cina.

5. Cibo più sostenibile e prodotto con i computer intelligenti

Per venire incontro alle nostre richieste, le aziende stanno iniziando a orientarsi verso la produzione di cibo più sostenibile e “gentile” con l’ambiente. Più o meno tutte, dall’americana Tyson Foods alla brasiliana Jbs, da Kellogg’s a Nestlé: non lo fanno solo per noi, ma pure per loro, perché si sono accorte che il business funziona e che i guadagni più grossi ora stanno qui.

Uno dei modi meno inquinanti per produrre il cibo, e dunque renderlo più sostenibile, è usare la tecnologia: c’è chi ha sfruttato l’intelligenza artificiale per creare una proteina vegetale in grado di riprodurre il gelato (è il caso di Perfect Day), chi per copiare le uova partendo dai fagioli verdi (l’azienda si chiama Just) e chi per passare dalle proteine dei piselli al latte vegetale.

Ma il 2021 sarà anche l’anno della carne ricreata con le stampanti 3d partendo da ingredienti vegetali o misti e (forse) della cosiddetta “carne coltivata”, quella che si fa partendo dalle cellule delle mucche: di recente, Singapore ha dato il via libera al suo consumo e noi la sua storia ve l’abbiamo raccontata intervistando 2 fra gli imprenditori più attivi nel settore in I segreti di carne stampata e carne “coltivata”: ecco come la fanno quelli che la fanno.

6. Flexitariani, reducetariani e giornate senza carne

Saranno soprattutto 2 i regimi alimentari che andranno per la maggiore nel nuovo anno, sempre sulla scia del nutrirsi prestando maggiore attenzione non solo al nostro benessere ma pure a quello della Terra. Anche perché diventare flexitariani (cioè facendo in modo che i cibi di derivazione animale non siano più del 20% di quello che si mangia ) o reducetariani (cioè riducendo la presenza di carne bianca e rossa e di pesce nella propria dieta) è parecchio più facile e quasi ugualmente efficace rispetto a diventare vegani (comunque vi abbiamo spiegato come fare in Come seguire l’alimentazione vegana e la verità sul caso della B12) dal punto di vista ambientale.

7. La colazione a casa… come fossimo al bar

Cappuccino e brioche al bar è una delle abitudini cui si è dovuto rinunciare, magari perché ci si sente a disagio all’idea di trovarsi in mezzo ad altre persone, magari perché di casa si esce meno, costretti in smart working come siamo. E quindi si dedica maggiore attenzione al caffè che beviamo fra le mura domestiche, prima di mettersi a lavorare o durante un’intensa sessione di videochiamate su Zoom: secondo una recente ricerca della tedesca Melitta, che vende caffè e caffettiere, quasi il 50% delle persone ha iniziato a macinare i chicchi a casa, mentre le vendite delle confezioni di Starbucks di caffè da macinare sono cresciute di quasi il 20% nell’ultimo quarto del 2020.

Restando nell’ambito plant-based, secondo Nielsen sono anche salite di quasi il 30% le vendite di latti vegetali (soprattutto d’avena) con cui realizzare creme e schiume da usare per il cappuccino. Senza farselo preparare da altri.

8. Più comfort food e più attenzione al sonno

Nell’ottica di essere coccolati in casa più o meno come lo eravamo fuori, ci rivolgeremo a cibi confortevoli, che ci diano piacere e piacevolezza, anche semplici e non troppo ricercati, come una banale pizza, un hamburger (o un burger) senza troppi fronzoli, alimenti che siano in grado di fare stare bene non solo il fisico, ma pure la mente, comprensibilmente stressata da tutti questi mesi di pandemia e lockdown e ansia da contagio (qui 10 ricette del Cucchiaio nell’ottica del comfort).

L’aspetto dell’attenzione al benessere sta prendendo piede soprattutto per quanto riguarda le ore della giornata che precedono il dormire: stanno calando le vendite di bibite gassate, energizzanti ed eccitanti e anzi Pepsi ha già in messo in vendita la Driftwell, un’acqua in lattina “potenziata” con magnesio e aminoacidi che sarebbero in grado di farci rilassare. Perché mangiare (e bere) bene è fondamentale per riuscire a riposare bene, come abbiamo raccontato qualche mese fa.

9. Corsi online per diventare più bravi e cucinare a casa

In primavera ci siamo scoperti fornai, pizzaioli, cuochi provetti: stiamo cucinando più a casa e probabilmente continueremo a farlo, con tre conseguenze.

Ci doteremo (e già ci stiamo dotando) di accessori, elettrodomestici e dispositivi che possano meglio aiutarci nell’impresa: la friggitrice ad aria è stata uno dei “must-have” del primo lockdown, tanto che la scorsa estate l’abbiamo inserita fra i 7 gadget da avere in una cucina hi-tech, talmente tanto che Lg ha deciso di integrarla nella gamma di forni InstaView che svelerà all’edizione 2021 del Ces. Poi, daremo più attenzione agli ingredienti locali, quelli più vicini a noi, quelli del nostro territorio, riscoprendo sapori che avevamo dimenticato e trascurato e di nuovo riducendo la carbon footprint del cibo, perché il trasportarlo da una parte dell’Europa (per esempio) influisce sul 5-15% del suo impatto inquinante a seconda dei Paesi.

Our World in Data: le fonti di inquinamento della produzione di cibo
Per diventare bravi davanti ai fornelli avremo ancora bisogno di aiuto, facendo conoscere una seconda giovinezza ai corsi organizzati via Internet. Dove si trova davvero di tutto: ci sono canali su Twitch dove si cucina in diretta, su Skill Share ci sono oltre 4400 lezioni dedicate al cibo e su YouTube ci sono canali specifici dove molti chef (anche stellati) illustrano le ricette ai loro follower.

E chissà, magari i ristoranti più intraprendenti accompagneranno i loro meal-kit con Qr Code o link a videospiegazioni degli ultimi passaggi della ricetta prima di impiattamento e assaggio.

10. Più attenzione ai condimenti

È innegabile che mangiare al ristorante sia più piacevole che a casa, un po’ perché l’atmosfera è differente, soprattutto perché gli chef sono generalmente più bravi di noi. La nostalgia ci spingerà ad aggiungere più spezie e condimenti ai nostri piatti nel tentativo di ricreare quei sapori di cui sentiremo la mancanza: basta una salsa ben fatta, un chutney o un chimichurri per dare una marcia in più a qualsiasi ricetta e anche farci sentire più esotici, farci “viaggiare” in questo periodo in cui non possiamo viaggiare o possiamo farlo molto poco. Inoltre, i condimenti (come questi che arrivano dallo Sri Lanka) durano a lungo una volta preparati, cosa che in questo anno appena iniziato rappresenta un altro vantaggio.

11. L’ansia da lockdown e la spinta a fare scorta

Dopo averlo subìto già un paio di volte, lo spettro del lockdown, del non poter più uscire di casa o comunque di poterlo fare molto meno, fa purtroppo parte di noi: come abbiamo visto in autunno, questo ci ha portato a fare scorta e mettere da parte. Non solo i prodotti da bagno, la sabbietta per il gatto, le crocchette per il cane, ma pure gli alimenti. Dunque, tutti a inscatolare le verdure che abbiamo fatto crescere nell’orto casalingo, mettere sotto vuoto, creare conserve e fermentati. E anche ad acquistare cibo che può essere tenuto più a lungo in dispensa e non scade rapidamente, che è un altro dei motivi per cui le alternative vegetali a carne e pesce stanno avendo così successo.

12. Più attenzione a non sprecare e a riciclare

Come sul Cucchiaio abbiamo scritto più volte, gettare via il cibo è come inquinare due volte: se le aziende stanno e staranno più attente al processo produttivo, noi vorremo e dovremmo occuparci della parte relativa al consumo, dunque scegliendo, ordinando, facendoci consegnare a casa porzioni adeguate a quello che mangeremo e anche stando attenti al ciclo dei rifiuti, al riuso, al riciclo.

Del resto, se ci sono aziende che dagli avanzi del cibo creano magliette, giacche, pantaloni, borse, occhiali e cosmetici, forse quello che buttiamo via non è del tutto da buttar via…

Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

loader