Che cos’è il cibo elettronico e come aiuterà chi lo produce e chi lo mangia
A Milano, un team di ricercatori dell’Iit sta cambiando il modo in cui consumatori e aziende si rapporteranno agli alimenti. Hanno ottenuto 2 milioni di euro di finanziamenti dall’Ue, e questa è la loro storia
Sei righe di negazioni e (apparenti) contraddizioni per rappresentare un po’ quello che stanno facendo l’ingegnere elettronico Mario Caironi e il suo team, che sembra andare contro tutto quello che abbiamo pensato sinora su quello che si può mangiare e quello che non si può mangiare: a Milano, in un laboratorio del Center for Nano Science and Technology dell’Istituto italiano di Tecnologia, stanno studiando le applicazioni pratiche di quello che si potrebbe definire “cibo elettronico”, cioè appunto la possibilità di applicare circuiti elettrici a quello che mangiamo. Caironi, che è originario di Bergamo e si è laureato al Politecnico, è a capo del progetto ElFo (Electronic Food, appunto) e a fine 2019 ha vinto un fondo di circa 2 milioni di euro messo a disposizione dall’European Research Council: “Abbiamo iniziato questo lavoro fra 2016 e 2017, i soldi sono arrivati lo scorso settembre - ha raccontato al Cucchiaio quando siamo andati a trovarlo nel suo ufficio nella zona di Città Studi - e ci permetteranno di lavorare e fare ricerca per i prossimi 5 anni, sino al 2025”.
La medicina e l’elettronica commestibile
Va bene, ma a che cosa serve tutto questo? “Per esempio, stiamo pensando a dispositivi biomedici che permettano di avere un monitoraggio continuo dello stato di salute nel tratto gastrointestinale - ci ha spiegato Caironi - O anche a una pillola elettronica controllabile attraverso le radiofrequenze (il principio è quello della conduzione ionica, lo stesso dell’elettrocardiogramma, ndr) e in grado sia di rilevare il livello di pH sia di rilasciare a comando alcuni farmaci all’interno dell’intestino”. E con “a comando”, in futuro, s’intende semplicemente anche attraverso uno smartphone.
Il cibo e l’elettronica da mangiare
Queste etichette smart e commestibili potranno essere utili anche contro le frodi alimentari e le falsificazioni e per evitare alterazioni, una piaga contro cui il “made in Italy” combatte più o meno quotidianamente (su Cucchiaio ne abbiamo parlato anche nell'articolo Ristoranti chiusi, quasi 10 miliardi in cibi e vini invenduti. Appello di Coldiretti: "Comprate italiano"): “nascoste” all’interno del prodotto e difficilmente rimovibili e manomettibili, potranno conservare le informazioni su luogo, data, stabilimento di produzione ed essere poi facilmente lette dai consumatori. Così da sapere se davvero quel formaggio Dop è Dop e se quell’olio venduto come Igp è veramente Igp. Varrà anche per la carne, per scoprire se il filetto che stiamo comprando è davvero filetto e se davvero arriva da quell’allevamento dal quale ci dicono che arriva.
Dal punto di vista di noi acquirenti, i possibili benefici non sono finiti: grazie al “cibo elettronico” potremo per esempio tenere monitorate quantità e qualità di quello che mangiamo quotidianamente (utile per chi, per esempio, deve o vuole rispettare un preciso regime alimentare), anche controllando l’apporto di zuccheri, proteine, grassi. Sempre, semplicemente, attraverso il nostro smartphone.
In futuro, inoltre, queste etichette saranno l’anello che mancava in una catena di crescente importanza, quella della cosiddetta Internet delle Cose: da almeno 5 anni ci sentiamo raccontare che un giorno il nostro frigo smart controllerà la data di scadenza delle uova e degli hamburger, o il grado di maturazione di frutta e verdura e ci avvertirà quando sarà necessario intervenire. Non è ancora successo perché il nostro frigo, per quanto “intelligente”, non è in grado di parlare col sedano, con la carota o con la costata per farsi dire come sta: potrà farlo, appunto, una volta che il sedano, la carota o la costata avranno al loro interno una delle etichette che i ricercatori del progetto ElFo stanno sviluppando.
Robot da mangiare, il futuro che sembra fantascienza
Fantascienza? Forse no, forse un po’. Intanto accontentiamoci di ricevere una notifica sullo smartphone sul momento giusto in cui mangiare la nostra mela…
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.