Come si mangia nello Spazio e come mangeremo su Marte: i segreti degli astronauti e di chi gli prepara il cibo

Nel 2024 torneremo sulla Luna e nel 2030 andremo su Marte. Ma come mangeremo nel viaggio e una volta arrivati lassù? Ecco tutto quello che c’è da sapere, fra forni che sembrano valigette, assenza di gravità, agricoltura idroponica e stampanti 3d

Magari davvero “nello Spazio nessuno può sentirti urlare”, come si diceva in “Alien” nel 1979. Sicuramente, nessuno ti vedrà mai cucinare. Perché nello Spazio non ci sono fornelli, il frigo c'è ma non si può utilizzare, il forno si usa poco e decisamente non è come quello che abbiamo in casa e la caffettiera praticamente non interessa. Ma allora come fanno gli astronauti? Come mangiano e che cosa mangiano? Soprattutto, come mangeranno una volta che arriveranno su Marte (un traguardo cui manca tanto, ma non tantissimo)?

Per scoprirlo ci siamo rivolti alla AlTec di Torino, una società pubblico/privata nata da una costola di Thales Alenia Space e controllata al 30% dall’Asi, l’Agenzia spaziale Italiana: gestisce dal punto di vista logistico, del supporto operativo e dei servizi ingegneristici oltre la metà del volume abitato della Stazione spaziale Internazionale. Insomma, quello che parte da “qui” (inteso come la Terra) per andare “là” (cioè in orbita a più o meno 400 chilometri di altitudine) passa da loro: “Presto ci occuperemo anche di missioni di esplorazione robotica - ci hanno raccontato al telefono la dottoressa Liliana Ravagnolo e l’ingegner Rosa Sapone - con la partenza del rover ExoMars diretto su Marte. Sarà a settembre 2022, perché anche a causa della pandemia abbiamo mancato la finestra di lancio del 2020 ed è necessario attendere 2 anni prima che il pianeta torni nella posizione giusta”. Che poi è il motivo per cui tutti partono più o meno nello stesso momento e arrivano più o meno nello stesso momento come dimostra il caso delle sonde di Cina, Emirati Arabi e Stati Uniti, tutte decollate fra estate e autunno 2020 a giunte a destinazione a pochi giorni di distanza una dall’altra.

Per AlTec, comunque, quasi tutto il lavoro attuale è dedicato alle forniture per la Iss: “Abbiamo iniziato nel 2003, con l’allestimento di 3 moduli Mplm da mettere nello shuttle per portare cibo, acqua, vestiti e pezzi di ricambio sulla Stazione”. Gli Mplm (la sigla sta per Multi Purpose Logistic Module) sono come grossi container che vengono caricati nelle stive dei razzi diretti nello Spazio, pesano circa 4 tonnellate e mezza e sono lunghi oltre 6 metri: “La distribuzione del peso al loro interno, la sua posizione, la temperatura, è importante per la buona riuscita dei lanci - ci ha detto l’ingegner Sapone - Per tenere tutto sotto controllo, qui in AlTec abbiamo un Centro Missione simile a quello famosissimo di Houston, perché questi viaggi devono essere pronti a partire in qualsiasi momento, utile o necessario che sia”. Altrimenti è un attimo che “Torino, abbiamo un problema”.

L’astronauta Chris Hadfield si prepara un sandwich

La Iss, la Luna e le ricette degli chef

Molta parte di questi carichi, che fanno continuamente avanti e indietro fra la Terra e la Stazione Spaziale, è composta da generi alimentari: “Un astronauta consuma quotidianamente circa 6 chilogrammi di prodotti, fra cibo, acqua e salviette per l’igiene personale, ha bisogno di 2500-3000 calorie al giorno e parte per la sua missione (che solitamente dura 6 mesi, ndr) con 9 piccole borse che contengono tutto quello che gli servirà”. Compresi i pasti, che deve dunque scegliere con largo anticipo: “Il loro cibo è diviso in due - è la spiegazione della dottoressa Ravagnolo - L’80% di quello che mangiano è chiamato Standard Food, è tutto preparato dalla Nasa o dalla Rsa (l’agenzia spaziale russa, ndr) e in piccola percentuale dal Giappone; il restante 20% è il cosiddetto Bonus Food e di solito viene preparato nel Paese da cui proviene l’astronauta e poi approvato”. Del cibo Standard fanno parte circa 400 ricette, fra cui l’astronauta dovrà scegliere quelle che vorrà mangiare nei 180 giorni in cui starà in orbita: sono tutte già pronte e conservate in scatolette o buste di alluminio, appunto perché nello Spazio non si cucina, e tutte soddisfano i necessari livelli di sicurezza e di durata nel tempo, perché sulla Iss il frigo c’è ma si usa solo per conservare i risultati degli esperimenti scientifici.

Va bene, ma nel concreto che cosa e come mangia un’astronauta? I ritmi e la scansione dei pasti sono simili a quelli osservati sulla Terra? “Più o meno sì, seguendo l’orario del meridiano di Greenwich - è ancora la Ravagnolo a parlare - colazione fra le 6.30 e le 8, pranzo fra le 12 e le 13, ma mai tutti insieme, cena dalle 19 in poi, dopo l’ultimo contatto della giornata con il centro di controllo. In questo caso, anche tutti insieme (l’equipaggio della Iss è generalmente composto da 6 persone, ndr), anche usando il Bonus Food”. Con questo termine si definisce la dotazione di cibo “speciale” che ogni astronauta porta con sé, che ricorda il suo Paese e ha anche un valore psicologico, aiuta a sentirsi a casa ed è di solito composto da piatti tipici della tradizione locale, come le lasagne, la caponata di melanzane e peperoni e il tiramisù dell’italiano Luca Parmitano; può anche essere usato per festeggiare il Natale, un compleanno, una ricorrenza speciale. O il ritorno sulla Luna, in programma nel 2024.

Per la preparazione del Bonus Food, dal 2005 l’Agenzia spaziale Europea ha iniziato ad appoggiarsi ai cuochi dei Paesi di provenienza degli astronauti: Stefano Polato per l’italiana Samantha Cristoforetti, che segue un’alimentazione vegana; Thorsten Schmidt per Andreas Mogensen ed Heston Blumenthal (che avevamo incluso fra I 10 chef più seguiti su Instagram) per Timothy Peake. Con alcuni effetti strani e curiosi, e pure un po’ pericolosi: nel 2015, Schmidt preparò dolcetti a forma di rocce lunari di color argento, con dentro un biglietto per ogni astronauta presente sulla Iss, mentre lo chef “sensoriale” Blumenthal voleva che il britannico Peake portasse con sé un piatto di fish & chips e anche la sua salsiccia alla brace, con tanto di fumo da liberare prima della consumazione. Dalla Nasa gli fecero presente che il primo aveva un valore nutrizionale troppo basso e che il secondo avrebbe probabilmente fatto scattare tutti gli allarmi antincendio della Stazione.

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Le bevande e il problema della frutta (e della verdura)

Quanto a “che cosa si beve?”, detto che di caffè se ne consuma davvero poco, e prevalentemente americano, tanto che la macchinetta Iss Express è stata poi riportata sulla Terra, le bevande sono tutte in polvere e vengono fornite da Nasa ed Rsa: si aggiunge l’acqua calda o fredda per avere soft drink, succhi, tisane, tè. In questo caso, nessun Bonus Drink: “Sulla Iss sono vietati gli alcolici di qualsiasi tipo”, ci hanno spiegato da AlTec, aggiungendo con un sorriso che “si dice che i russi facciano un’eccezione per la vodka… ma non ci sono conferme ufficiali su questo”.

Scherzi a parte, i succhi sono particolarmente importanti perché costituiscono una delle poche fonti di approvvigionamento di frutta per gli astronauti, che raramente ne hanno a disposizione di fresca, sia per il già citato problema del frigo non utilizzabile sia perché i carichi vengono preparati sui razzi anche con 3 mesi di anticipo sulla data di lancio: “Sino a quando volavano gli shuttle - ha ricordato Sapone - preparavamo una busta di frutta e verdura da mettere nella stiva all’ultimo, 48 ore prima. Ma ora non possiamo più farlo”. Perché “ora” (inteso come dal 2011 in avanti) le spedizioni vengono fatte usando razzi privati, come quelli dell’americana SpaceX, dell’italiana Cygnus, delle russe Soyuz e Progress e della giapponese Htb, cui servono circa 6 giorni per arrivare a destinazione (ma in caso di necessità, la Progress dovrebbe essere in grado di farcela anche in un paio d’ore).

E quindi? E quindi l’unica frutta che gli astronauti hanno a disposizione è disidratata, oppure arriva da confetture e conserve. O dai succhi, appunto.

Scaldato, ma non cucinato

Anche per questo, e anche in relazione alla notevole quantità di calorie che assumono ogni giorno, per gli astronauti è molto importante fare attività motoria, come ci ha ricordato Ravagnolo: “Praticano almeno 2 ore di ginnastica al giorno, fra cardio, sollevamento pesi e altro, sono sotto costante controllo medico e sono stati comunque formati sui princìpi dell’autodiagnosi, così da poter capire da soli le loro condizioni di salute”. Interessante, da questo punto di vista, il progetto NutrIss, svelato e pensato da Parmitano nel 2019 (Parmitano presenta NutrIss) per tenere sotto controllo il il rapporto fra massa grassa e magra, anche con misurazioni quotidiane cui lo stesso astronauta italiano aveva accettato di sottoporsi.

Il problema è l’assenza di gravità, o comunque la cosiddetta “microgravità” che (semplificando) permette di compiere azioni facendo meno sforzo, dunque sul lungo periodo provoca l’indebolimento dei muscoli. Ma la microgravità è anche uno dei motivi per cui sulla Stazione spaziale Internazionale non si cucina (cibo e pentole volerebbero in giro) e per cui il forno funziona come quello che abbiamo in casa ma è completamente diverso da quello che abbiamo in casa: al suo interno vengono messe le buste o le scatolette di quello che si vuole scaldare e ha la forma di una valigetta bassa e lunga appunto per impedire loro di muoversi.

Come detto, i protocolli stilati dalla Nasa prevedono che tutto il cibo portato nello Spazio debba durare a lungo a temperatura ambiente (almeno 24 mesi), un risultato che si ottiene sia con la deidratazione, che elimina i batteri, sia con la termostabilizzazione, un trattamento che permette al cibo di non subire alterazioni a causa del calore e che viene usato soprattutto per le carni e per i sughi. E quando andremo su Marte, le cose si faranno più difficili.

Così coltiveremo le verdure su Marte

Il Pianeta Rosso, l’agricoltura idroponica e le stampanti 3d

Il problema, con quello che sarà probabilmente il corpo celeste che esploreremo per primo, forse già dal 2030, forse partendo da una futura base sulla Luna, è che è piuttosto lontano: per arrivare su Marte servono 6 mesi di viaggio e la “finestra” per tornare verso la Terra si apre una volta ogni 2 anni. Per questo, il cibo destinato alle missioni marziane della specie umana dovrà poter resistere almeno 5 anni.

Il vantaggio di Marte è che ci stiamo preparando e che dovremmo essere in grado di produrre cibo là. Non come fa Matt Damon nel film “The Martian”, ma quasi: “Dal 2015, Alenia e Dlr, l’Agenzia spaziale Tedesca, hanno dato vita in Antartide al progetto Eden Iss - ci hanno ricordato da AlTec - Le condizioni di isolamento sono simili a quelle che si proveranno lassù, e vengono usati container per fare crescere la frutta e la verdura solo con l’acqua, senza bisogno di terreno o di luce solare”.

Sfruttano i princìpi dell’agricoltura idroponica o “fuori suolo”, di cui sul Cucchiaio d’Argento abbiamo scritto di recente nell'articolo L'agricoltura verticale per coltivare sempre e ovunque: da Dubai a San Francisco, a Milano, e che nello Spazio viene in realtà già utilizzata, seppure in via sperimentale: “Sulla Iss c’è Veggie, un piccolo orto idroponico che permette non solo di vedere se le verdure crescono, ma anche come lo fanno in assenza di gravità, in che direzione vanno le radici, se e quali effetti ci sono sui frutti e così via”.

L’ultima questione da affrontare, quando si parla di viaggi su Marte, è in realtà la prima: come mangeranno le persone impegnate nella missione, in attesa che venga allestita la struttura che sarà la loro casa nei mesi successivi? Da AlTec ci hanno spiegato che il segreto sono le stampanti 3d (del cui utilizzo sulla Terra abbiamo scritto ne I segreti di carne stampata e carne “coltivata”: ecco come la fanno quelli che la fanno): “Attraverso queste macchine, gli astronauti potranno impiegare ingredienti liofilizzati, mescolati con l’acqua durante il processo di estrusione, per creare di volta in volta quello che vorranno mangiare”. Con “di volta in volta” s’intende che non dovranno più scegliere prima di partire tutti i pasti che faranno nelle centinaia di giorni passati lontano dalla Terra, ma potranno deciderli quotidianamente. E se una mattina si sveglieranno con voglia di una pizza, potranno farsi una pizza. Citando Armstrong a rovescio, “un piccolo passo per l’umanità, ma un gigantesco balzo per l’uomo”.

Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

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