Come si mangia nello Spazio e come mangeremo su Marte: i segreti degli astronauti e di chi gli prepara il cibo
Nel 2024 torneremo sulla Luna e nel 2030 andremo su Marte. Ma come mangeremo nel viaggio e una volta arrivati lassù? Ecco tutto quello che c’è da sapere, fra forni che sembrano valigette, assenza di gravità, agricoltura idroponica e stampanti 3d
Per scoprirlo ci siamo rivolti alla AlTec di Torino, una società pubblico/privata nata da una costola di Thales Alenia Space e controllata al 30% dall’Asi, l’Agenzia spaziale Italiana: gestisce dal punto di vista logistico, del supporto operativo e dei servizi ingegneristici oltre la metà del volume abitato della Stazione spaziale Internazionale. Insomma, quello che parte da “qui” (inteso come la Terra) per andare “là” (cioè in orbita a più o meno 400 chilometri di altitudine) passa da loro: “Presto ci occuperemo anche di missioni di esplorazione robotica - ci hanno raccontato al telefono la dottoressa Liliana Ravagnolo e l’ingegner Rosa Sapone - con la partenza del rover ExoMars diretto su Marte. Sarà a settembre 2022, perché anche a causa della pandemia abbiamo mancato la finestra di lancio del 2020 ed è necessario attendere 2 anni prima che il pianeta torni nella posizione giusta”. Che poi è il motivo per cui tutti partono più o meno nello stesso momento e arrivano più o meno nello stesso momento come dimostra il caso delle sonde di Cina, Emirati Arabi e Stati Uniti, tutte decollate fra estate e autunno 2020 a giunte a destinazione a pochi giorni di distanza una dall’altra.
Per AlTec, comunque, quasi tutto il lavoro attuale è dedicato alle forniture per la Iss: “Abbiamo iniziato nel 2003, con l’allestimento di 3 moduli Mplm da mettere nello shuttle per portare cibo, acqua, vestiti e pezzi di ricambio sulla Stazione”. Gli Mplm (la sigla sta per Multi Purpose Logistic Module) sono come grossi container che vengono caricati nelle stive dei razzi diretti nello Spazio, pesano circa 4 tonnellate e mezza e sono lunghi oltre 6 metri: “La distribuzione del peso al loro interno, la sua posizione, la temperatura, è importante per la buona riuscita dei lanci - ci ha detto l’ingegner Sapone - Per tenere tutto sotto controllo, qui in AlTec abbiamo un Centro Missione simile a quello famosissimo di Houston, perché questi viaggi devono essere pronti a partire in qualsiasi momento, utile o necessario che sia”. Altrimenti è un attimo che “Torino, abbiamo un problema”.
La Iss, la Luna e le ricette degli chef
Va bene, ma nel concreto che cosa e come mangia un’astronauta? I ritmi e la scansione dei pasti sono simili a quelli osservati sulla Terra? “Più o meno sì, seguendo l’orario del meridiano di Greenwich - è ancora la Ravagnolo a parlare - colazione fra le 6.30 e le 8, pranzo fra le 12 e le 13, ma mai tutti insieme, cena dalle 19 in poi, dopo l’ultimo contatto della giornata con il centro di controllo. In questo caso, anche tutti insieme (l’equipaggio della Iss è generalmente composto da 6 persone, ndr), anche usando il Bonus Food”. Con questo termine si definisce la dotazione di cibo “speciale” che ogni astronauta porta con sé, che ricorda il suo Paese e ha anche un valore psicologico, aiuta a sentirsi a casa ed è di solito composto da piatti tipici della tradizione locale, come le lasagne, la caponata di melanzane e peperoni e il tiramisù dell’italiano Luca Parmitano; può anche essere usato per festeggiare il Natale, un compleanno, una ricorrenza speciale. O il ritorno sulla Luna, in programma nel 2024.
Per la preparazione del Bonus Food, dal 2005 l’Agenzia spaziale Europea ha iniziato ad appoggiarsi ai cuochi dei Paesi di provenienza degli astronauti: Stefano Polato per l’italiana Samantha Cristoforetti, che segue un’alimentazione vegana; Thorsten Schmidt per Andreas Mogensen ed Heston Blumenthal (che avevamo incluso fra I 10 chef più seguiti su Instagram) per Timothy Peake. Con alcuni effetti strani e curiosi, e pure un po’ pericolosi: nel 2015, Schmidt preparò dolcetti a forma di rocce lunari di color argento, con dentro un biglietto per ogni astronauta presente sulla Iss, mentre lo chef “sensoriale” Blumenthal voleva che il britannico Peake portasse con sé un piatto di fish & chips e anche la sua salsiccia alla brace, con tanto di fumo da liberare prima della consumazione. Dalla Nasa gli fecero presente che il primo aveva un valore nutrizionale troppo basso e che il secondo avrebbe probabilmente fatto scattare tutti gli allarmi antincendio della Stazione.
Le bevande e il problema della frutta (e della verdura)
Scherzi a parte, i succhi sono particolarmente importanti perché costituiscono una delle poche fonti di approvvigionamento di frutta per gli astronauti, che raramente ne hanno a disposizione di fresca, sia per il già citato problema del frigo non utilizzabile sia perché i carichi vengono preparati sui razzi anche con 3 mesi di anticipo sulla data di lancio: “Sino a quando volavano gli shuttle - ha ricordato Sapone - preparavamo una busta di frutta e verdura da mettere nella stiva all’ultimo, 48 ore prima. Ma ora non possiamo più farlo”. Perché “ora” (inteso come dal 2011 in avanti) le spedizioni vengono fatte usando razzi privati, come quelli dell’americana SpaceX, dell’italiana Cygnus, delle russe Soyuz e Progress e della giapponese Htb, cui servono circa 6 giorni per arrivare a destinazione (ma in caso di necessità, la Progress dovrebbe essere in grado di farcela anche in un paio d’ore).
E quindi? E quindi l’unica frutta che gli astronauti hanno a disposizione è disidratata, oppure arriva da confetture e conserve. O dai succhi, appunto.
Scaldato, ma non cucinato
Il problema è l’assenza di gravità, o comunque la cosiddetta “microgravità” che (semplificando) permette di compiere azioni facendo meno sforzo, dunque sul lungo periodo provoca l’indebolimento dei muscoli. Ma la microgravità è anche uno dei motivi per cui sulla Stazione spaziale Internazionale non si cucina (cibo e pentole volerebbero in giro) e per cui il forno funziona come quello che abbiamo in casa ma è completamente diverso da quello che abbiamo in casa: al suo interno vengono messe le buste o le scatolette di quello che si vuole scaldare e ha la forma di una valigetta bassa e lunga appunto per impedire loro di muoversi.
Come detto, i protocolli stilati dalla Nasa prevedono che tutto il cibo portato nello Spazio debba durare a lungo a temperatura ambiente (almeno 24 mesi), un risultato che si ottiene sia con la deidratazione, che elimina i batteri, sia con la termostabilizzazione, un trattamento che permette al cibo di non subire alterazioni a causa del calore e che viene usato soprattutto per le carni e per i sughi. E quando andremo su Marte, le cose si faranno più difficili.
Il Pianeta Rosso, l’agricoltura idroponica e le stampanti 3d
Il vantaggio di Marte è che ci stiamo preparando e che dovremmo essere in grado di produrre cibo là. Non come fa Matt Damon nel film “The Martian”, ma quasi: “Dal 2015, Alenia e Dlr, l’Agenzia spaziale Tedesca, hanno dato vita in Antartide al progetto Eden Iss - ci hanno ricordato da AlTec - Le condizioni di isolamento sono simili a quelle che si proveranno lassù, e vengono usati container per fare crescere la frutta e la verdura solo con l’acqua, senza bisogno di terreno o di luce solare”.
Sfruttano i princìpi dell’agricoltura idroponica o “fuori suolo”, di cui sul Cucchiaio d’Argento abbiamo scritto di recente nell'articolo L'agricoltura verticale per coltivare sempre e ovunque: da Dubai a San Francisco, a Milano, e che nello Spazio viene in realtà già utilizzata, seppure in via sperimentale: “Sulla Iss c’è Veggie, un piccolo orto idroponico che permette non solo di vedere se le verdure crescono, ma anche come lo fanno in assenza di gravità, in che direzione vanno le radici, se e quali effetti ci sono sui frutti e così via”.
L’ultima questione da affrontare, quando si parla di viaggi su Marte, è in realtà la prima: come mangeranno le persone impegnate nella missione, in attesa che venga allestita la struttura che sarà la loro casa nei mesi successivi? Da AlTec ci hanno spiegato che il segreto sono le stampanti 3d (del cui utilizzo sulla Terra abbiamo scritto ne I segreti di carne stampata e carne “coltivata”: ecco come la fanno quelli che la fanno): “Attraverso queste macchine, gli astronauti potranno impiegare ingredienti liofilizzati, mescolati con l’acqua durante il processo di estrusione, per creare di volta in volta quello che vorranno mangiare”. Con “di volta in volta” s’intende che non dovranno più scegliere prima di partire tutti i pasti che faranno nelle centinaia di giorni passati lontano dalla Terra, ma potranno deciderli quotidianamente. E se una mattina si sveglieranno con voglia di una pizza, potranno farsi una pizza. Citando Armstrong a rovescio, “un piccolo passo per l’umanità, ma un gigantesco balzo per l’uomo”.
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.