Ettore Bocchia, la cucina molecolare e l’essenza dell’invisibile
Di lui si sa che è uno chef rivoluzionario, gli si riconosce il merito di aver definito la cucina molecolare. Tutto vero, ma Ettore Bocchia sì che è uno storyteller, che narra di produttori, ingredienti, fisica, design e texture. Non è social, non cercatelo su Instagram, i suoi follower lo raggiungono al Mistral.
Cucina molecolare, rane e missoltini
La scena si apre così, al tavolo di Ettore Bocchia, a pranzo a La Goletta, il ristorante più informale di Villa Serbelloni a Bellagio. Il nostro ospite sorride appena e risponde con tono amabile ma fermo:
«Il piatto che stai mangiando è cucina molecolare»
Ovvero ‘tagliolini alle rane e missoltini con piccole zucchine’, un insieme ottimo, rotondo ma soprattutto inaspettatamente decifrabile.
La risposta di Ettore Bocchia è semplice ma è la sintesi di vent’anni di studio e contiene tutti i principi della cucina molecolare; è la risposta di chi ha svolto un ruolo centrale nel definirla.
Lo abbiamo incontrato, fin dalla sera prima, perché scelto da Land Rover fra i protagonisti di una narrazione che mette al centro valori, creatività e design intorno a un nuovo fuoristrada di lusso e a un nuovo progetto.
L’Executive Chef del Mistral, una stella Michelin mantenuta dal 2004, elenca quattro fondamentali da sapere, o ripassare, per ri-orientarci tra verità e credenze. I metodi, le tecniche, più in generale le novità della cucina molecolare puntano ad accrescere la tradizione gastronomica italiana, non a distruggerla. A valorizzare ingredienti naturali e materie prime di qualità. Questa cucina è attenta ai valori nutrizionali e al benessere di chi mangia. In ultimo, dopo tre principi che suonano premesse, una definizione più piena: “una nuova idea di cucina deve realizzare i suoi scopi creando nuove texture, progettandole a livello microscopico grazie alla conoscenza delle proprietà fisiche e chimiche degli ingredienti”.
Ecco spiegato (oltre al Manifesto della Cucina Molecolare Italiana del 2002) anche il lato molecolare di rane e missoltini (prima che lo chiediate a Google: sono pesci del lago di Como essiccati).
La cena molecolare
Dovessimo scegliere faremmo partire lo ‘storytelling’ nel 2002, a Villa Serbelloni, con la prima ‘Cena di cucina molecolare italiana’, che detto così evoca già la sceneggiatura del primo episodio di una serie tv.
Bocchia ha il grande merito di averci aiutato a comprendere che la cucina molecolare non viene dal futuro, ma è il risultato di un approccio scientifico e oggettivo nel presente. E che molecolare fa rima con culturale.
Semplicemente complesso
La leadership espressa da Bocchia parte dalla passione (che in cucina alimenta troppo spesso l’illusione di essere più importante del talento) e si combina sapientemente a tecnica e competenza, potremmo quasi dire ‘al servizio’ degli stati emozionali dei commensali. Così lo chef coglie una sfida e progetta un piatto che contiene il suo mantra: “bisogna sentire le cose che non si vedono”. E sì, sembra una lezione di retorica, passiamo all’ossimoro ché Bocchia il piatto lo intitola “Semplicemente complesso”. Nel pensarne contenuti e design, lo chef risignifica la relazione esplicita con le qualità del nuovo fuoristrada di lusso.
Questo piatto è un viaggio fra ingredienti e consistenze. Ma attenzione, un viaggio senza fermate imposte. Perché l’ordine lo sceglie il commensale che Bocchia lascia libero di vagabondare nel suo stato di flow indisturbato.
La cosa importante è che sia buono da mangiare, chiude Bocchia, ma prendendo a prestito Lévi-Strauss ci pare anche “buono da pensare” (forse qualcuno ha già introdotto la variante “bello da fotografare”).
La cucina d’albergo
Dunque quella di Bocchia non è solo la cucina di chi ‘passa’ ma anche per chi resta, con cui si apre un dialogo.
Ingredienti da ascoltare
L’essenza dell’invisibile (oltre al titolo di un delizioso libretto di Bocchia edito da Aliberti, per chi volesse approfondire) sembra un concetto cardine nell’esperienza gastronomica dello chef. L’invisibilità cui fa riferimento non è solo quella delle proteine o degli amidi, è quella delle emozioni, è quella che si raggiunge (e si trasferisce) attraverso la conoscenza più profonda che inizia dall’ingrediente e diventa texture finale nel piatto. L'incantesimo (termine che chef Bocchia probabilmente respingerebbe) si realizza attraverso ricerche e tecniche, come la frittura nello zucchero del suo celebre rombo, che si difende dal dolce con una foglia di porro.
Ma un ruolo importante in questa storia ce l’ha anche il commensale. Mica è una comparsa. Ha la sua responsabilità, deve sapersi abbandonare all’invisibile, all’emozione. Siamo distratti, anche nelle cucine stellate, ci sediamo al tavolo con tutti i nostri follower, convinti che siano in attesa della nostra prossima condivisione. È allora che ci dimentichiamo quello che scriveva Wendell Berry “Mangiare con il più ampio piacere possibile – un piacere, cioè, che non deriva dall’ignoranza - è forse la realizzazione più profonda del nostro legame con il mondo. In questo piacere sperimentiamo e celebriamo il nostro debito e la nostra gratitudine”.