I segreti di carne stampata e carne “coltivata”: ecco come la fanno quelli che la fanno
I fondatori di 2 start-up spiegano al Cucchiaio come producono la non-carne del futuro, quando arriverà sul mercato e quanto costerà. Spoiler: tantissimo, almeno all’inizio
La Organ.Aut è talmente potente che la scorsa estate è stata utilizzata pure per creare copie di tessuti umani, ma quella che segue qui sotto non è questa storia. È un’altra storia: è la storia, incredibile ma vera, di qualcosa che potrebbe cambiare il nostro modo di mangiare. Sul Cucchiaio ve l’abbiamo già accennata in parte scrivendo di come la carne 3d e “coltivata” sarebbe presto arrivata sulle nostre tavole (con il pezzo Il futuro della non-carne passa dalle stampanti 3d). Ora abbiamo deciso di approfondirla.
Dalle seppie (stampate) alle bistecche “coltivate”
Quanto ai consumatori, “abbiamo ricerche di mercato (però condotte da associazioni abbastanza di parte, come Good Food Institute e Sustainable Food Systems, ndr) che ci dicono che un americano su 3 sarebbe disposto ad acquistare carne ‘coltivata’ e che uno su 5 sarebbe pure disponibile a pagarla più di quella tradizionale”. Ancora: “In Olanda sarebbero pronti a pagarla anche il 40% in più e il 59% dei clienti cinesi e il 56% dei clienti indiani sarebbe molto o moltissimo disposto ad assaggiarla”.
Resta la questione del tempo: Khesuani è convinto che “i primi esemplari delle nostre bistecche saranno pronti in 6-8 mesi (dunque entro la primavera del 2021, ndr)”, anche se “l’effettivo arrivo sul mercato dipenderà ovviamente dalle normative. Puntiamo prima ai Paesi dove siamo in qualche modo già presenti, come Russia a Stati Uniti, magari… in qualche ristorante italiano. Per renderli ancora più esclusivi”.
La via israeliana alla carne stampata
Loro la non-carne la stampano solo partendo da ingredienti vegetali: “Usiamo principalmente 3 componenti, che abbiamo chiamato Alt-Muscle (proteine vegetali che arrivano da soia e piselli, ndr), Alt-Fat (grasso vegetale, ndr) e Alt-Blood”, un mix di coloranti naturali che simulano il sanguinamento, come le americane Beyond Meat e Impossible Foods fanno per i loro burger. Il macchinario, è la spiegazione di Ben Shitrit, “stampa il prodotto ‘pieno’, dunque non abbiamo bisogno di aggiungere nulla per dargli struttura e consistenza”; di più: “Il procedimento è molto versatile e facilmente configurabile e bastano pochi clic per creare una bistecca più o meno tenera, con più o meno grasso e così via”.
Inoltre, il fatto che per il prodotto finito non servano cellule animali (“coltivate”, s’intende), abbatte decisamente i costi: “Il prezzo finale di una delle nostre bistecche sarà più o meno simile a quello di una bistecca tradizionale”. Con un ulteriore vantaggio: “Visto che la stampante 3d lavora sempre allo stesso modo per creare un filetto, un controfiletto, una spalla, una fesa o una costata, il prezzo non cambierà al cambiare del taglio di carne richiesto”. Attenzione: questo non significa che questa non-carne avrà tutta lo stesso sapore, ma che la si potrà rendere più magra, con più grasso, più alta, più tenera e più tenace, cambiandone il gusto e la consistenza, ma senza cambiarne il costo.
I consumatori e i gusti del futuro
Secondo il giovane imprenditore, “se riusciremo ad accelerare questo processo e a rendere la non-carne più presente sulle nostre tavole, facendola passare dal 10% di quello che mangiamo nei prossimi 5 anni al 50% nei prossimi 30, avremo raggiunto un grande risultato, facendo bene a noi e all’ambiente”. E pure agli animali.
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.
Illustrazione di Davide Abbati.