L'elogio della patatina: il junk food che fa bene all'anima

In epoca di privazioni, la tentazione di concedersi un po’ di “cibo spazzatura” diventa ancora più forte: si può fare, con qualche accortezza. E con i consigli di un’esperta e le nostre ricette

“Vi invitiamo a mangiare più patatine”. Anzi, no: “Vi consigliamo di mangiare più patatine”, che è diverso e pure più strano. Così hanno scritto qualche settimana fa sull’edizione online del New York Times in un editoriale molto condiviso e commentato sui social network. E nemmeno si riferivano alle patatine fatte in casa, tagliate a mano e fritte nell’olio buono: no, intendevano proprio quelle da supermercato, il peggio del peggio, l’apoteosi del cibo ultratrasformato. Sono impazziti? Macché, sono comprensivi.

Il ragionamento del quotidiano americano è che mai come in questo periodo di difficoltà emotiva, fra pandemia da coronavirus, ansia da vaccinazioni, lockdown, chiusure e solitudine, il junk food può essere utile per tirarci su di morale. Fa male al corpo tanto quanto fa bene all’animo, insomma. Ma è vera questa cosa? Non che faccia male, perché quello lo sappiamo che è vero (sul Cucchiaio ne scrivemmo lo scorso autunno nell'articolo La mala-evoluzione del junk food: cos’è il cibo ultratrasformato, la tentazione da cui non riesci a liberarti). Ma che in qualche modo faccia anche bene. È se è vero, quanto possiamo concedercene senza esagerare?

Il segreto è nella serotonina

Per provare a rispondere, ci siamo fatti aiutare dalla nutrizionista Erika Pastore, con cui qualche mese fa avevamo parlato del fenomeno del digiuno intermittente (Che cos’è il digiuno intermittente, come funziona, quali rischi si corrono): “Il cibo è un nostro bisogno primario e funziona anche come sfogo naturale e quotidiano, cui ci rivolgiamo quando siamo in difficoltà - ci ha spiegato - In campo alimentare, questi strappi alle regole sono una compensazione delle privazioni e delle limitazioni alla nostra libertà, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo”. Anche una sorta di forma di ribellione, perché a questi comportamenti nessuno può mettere limite: se vogliamo mangiare male, non c’è Conte (pardon, Draghi) che tenga, non c’è Dpcm, non c’è divieto. Lo sanno pure i medici: “Con i miei pazienti cerco di essere più comprensiva - ci ha detto con un sorriso la Pastore - perché capisco che in questo periodo essere rigorosi e dover rispettare le regole, altre regole, è più complicato di prima”.

Insomma, questo cibo è una tentazione cui già normalmente è difficile resistere e ancora di più lo è oggi: un po’ perché chi lo produce è bravo anche a confezionarlo, in pacchetti che attirano il nostro sguardo, che sono piacevoli da toccare, che croccano e dentro sono dorati o argentati come le tute degli astronauti (anche se nello Spazio gli astronauti mangiano altro come abbiamo visto in Come si mangia nello Spazio e come mangeremo su Marte: i segreti degli astronauti e di chi gli prepara il cibo); un po’ perché ci ricorda quando lo mangiavamo facendo cose che ora non possiamo fare, come andare al cinema, allo stadio, a fare aperitivo.

Ma soprattutto è per come è fatto e per quello che contiene. C’è la questione che alcune patatine hanno una forma perfetta per adattarsi alla nostra lingua, ma c’è soprattutto la questione della serotonina: “È un neurotrasmettitore che si sviluppa in alcune aree del nostro cervello ed è in grado di regolare il nostro umore e influire su di esso - ci ha ricordato la Pastore - È dimostrato che i carboidrati ne stimolano la produzione, così come che il cioccolato è ricco di triptofano, che è un precursore proprio della serotonina, oltre che di magnesio. Che è una delle ragioni per cui è molto desiderato dalle donne”. Chi produce questi cibi lo sa e sa che in qualche modo creano dipendenza e cerca di sfruttare queste nostre debolezze, per esempio arricchendo di zucchero il pane “industriale”, quello che si trova nei supermercati, quello usato per i sandwich, gli hot-dog oppure i burger (che poi dentro abbiano la carne o la non-carne vegetale, poco importa: Burger veg e hamburger tradizionale in sfida: qual è più sano?).

Il trucco della spesa e l’importanza dell’esercizio

È solo questo? No, non è solo questo. C’è un altro motivo per cui una patatina tira l’altra, per cui possiamo mangiarne un pacchetto intero e poi un altro ancora o divorarci 5 di quegli hamburger a 1 euro quasi senza accorgercene: “Questi cibi sono super concentrati di calorie e grassi, ma in uno spazio fisico molto piccolo, in una quantità molto ridotta. Bastano 20 patatine per ingurgitare di colpo 5-600 calorie, magari nell’arco di appena 10 minuti”. E quindi? E quindi il nostro stomaco non si “apre” e la sensazione di sazietà non arriva, o comunque arriva dopo. Capito? Oltre al fatto di essere appetibili, cosa che sono e nessuno mette in discussione, questi cibi sono anche ingannevoli: continui a mangiarli perché non ti accorgi di averne mangiati troppi. E quando ti accorgi di averne mangiati troppi è tardi. E ne hai mangiati troppi.

E però, qualche “trucco” per difenderci possiamo usarlo pure noi: “La prevenzione, fatta attraverso la spesa, è una delle nostre contromisure più efficaci e importanti - ci ha detto la Pastore - Dobbiamo stare attenti a quello che compriamo quando siamo al supermercato, a non cadere in tentazione, magari ragionando prima su quello che consumeremo nel corso della settimana”. Perché se in casa non facciamo entrare cibo poco sano, nemmeno ne possiamo mangiare.

Importantissima, prima e dopo, l’attività fisica. Ancora più importante adesso, sempre in ragione del periodo che stiamo attraversando, durante il quale conduciamo vite più sedentarie e siamo costrette in casa per più tempo di quello che magari vorremmo. Il consiglio della nutrizionista è chiaro e semplice: “Se siamo in smart working e dunque lavoriamo da casa, una buona idea può essere quella di dedicare agli esercizi il tempo che prima impiegavamo per raggiungere l’ufficio. Anche solo passeggiando a ritmo spedito”. Insomma, se prima ci servivano 40 minuti per andare al lavoro, camminiamo 40 minuti prima di buttarci in mezzo a mail, documenti, videochiamate e così via. Anche perché l’attività fisica è un’altra fonte di serotonina, soprattutto se fatta all’aperto e soprattutto se fatta sotto alla luce del sole. Ed è decisamente meglio produrla così che attraverso il junk food.

Quattro ricette che sono “junk” e sane insieme

Se si fa questo, anche non tutti i giorni, anche non sempre, allora si può fare anche quello. Inteso come quello che “consiglia” il New York Times, cioè concedersi ogni tanto una piccola dose di cibo che consola, per quanto poco sano: “Se al mattino si è camminato, allora al pomeriggio ci si potrà permettere uno strappo alle regole - è la concessione della Pastore - Potremo farlo anche 3-4 volte alla settimana, se abbiamo passeggiato 3-4 volte in una settimana. Sicuramente potremo farlo il sabato o la domenica, anche per provare a distinguere i giorni del weekend degli altri”. Sempre, però, ricordando che in questa situazione particolare abbiamo bisogno di un minore apporto calorico e anche stando attenti alle porzioni. E a quello con cui scegliamo di “viziarci”.

Insomma, possiamo lasciarci andare a una sorta di aperitivo domestico, ma invece di farlo con patatine, noccioline e altri snack del genere, possiamo preparare noi qualcosa di altrettanto soddisfacente per il palato: è il caso dei toast con avocado e salmone , delle pizzette di zucchine o una salsa tonnata per personalizzare dei sandiwich  oppure ancora dell’hummus, da accompagnare a verdure crude, peperoni, pomodori e pane nero tostato.

Sono tutti piatti piuttosto veloci e facili da preparare che nascondono un vantaggio, un altro trucco con cui combattere i colpi bassi dei produttori del junk food industriale: “Sono cibi gradevoli al palato, ma sono appaganti anche per la mente proprio per il fatto che li abbiamo preparati noi - ci ha svelato la Pastore - È dimostrato che dopo avere cucinato si mangia di meno e si sente meno appetito, perché i nostri sensi sono già stati stimolati dalla fase di preparazione. E non solo il gusto, ma pure la vista, il tatto, l’olfatto”.

Perché è vero che quello che è buono e piace, raramente fa bene e anzi spesso fa male… ma se ce lo prepariamo da sole, magari fa un po’ meno male e un pochino più bene.

Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.

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