Quello che mangiamo è quello che inquiniamo: così la nostra alimentazione influisce sulla nostra “carbon footprint”
Sono 2 i modi in cui le persone possono abbassare la loro impronta inquinante: interrompere o ridurre l’uso dell’auto, interrompere o ridurre il consumo di carne. Perché nel mondo ci sono 27 miliardi di animali d’allevamento, e per fare spazio a loro stiamo togliendo spazio alla natura
C’è il protocollo di Kyoto, ci sono gli accordi di Parigi, gli interventi dei governi dei vari Stati e pure quelli sovranazionali, magari dell’Unione europea o dell’Onu. E poi c’è quello che possono fare le persone, ognuna da sola, ma in qualche modo tutte insieme, per combattere il cambiamento climatico. Che c’è, sta succedendo, è reale e ormai scientificamente innegabile.
Dal punto di vista dei singoli, le azioni fondamentali per diminuire il proprio impatto sull’ambiente sono sostanzialmente due, anche queste più o meno incontestabili dal punto di vista scientifico: eliminare o ridurre drasticamente l’uso dell’automobile (o comunque dei veicoli con motore a combustione) e cambiare il modo di mangiare, eliminando o riducendo drasticamente i prodotti di derivazione animale; insieme, queste due voci rappresentano più o meno il 40% di quello che direttamente o indirettamente ogni individuo inquina ogni anno. Visto che qui siamo sul Cucchiaio d’Argento e non su Quattroruote, ci concentreremo sulla seconda.
Produrre cibo dagli animali è pericoloso per la Terra
La produzione di carne e altri cibi derivati dagli animali (compresi latte, formaggi, uova) è dannosa per l’ambiente non già per la leggenda metropolitana dei gas emessi dalle mucche durante la digestione e/o l’espletamento delle funzioni corporali. Cioè: c’è (forse) anche quel problema, ma il problema vero è un altro. Il problema è che la produzione industriale di carne e latte è talmente imponente che per reggere questi ritmi ci sono allevamenti (soprattutto negli Usa e in Cina) che hanno anche 10-20-100mila capi di bestiame, che tutto questo bestiame occupa spazio e di spazio ha bisogno, che questo spazio viene sottratto a prati, laghi, fiumi, boschi e foreste (è quello che succede in Amazzonia) e anche che questi animali hanno necessità di mangiare, che mangiano tanto, che per produrre il cibo che mangiano serve spazio e (di nuovo) che questo spazio viene sottratto a prati, laghi, fiumi, boschi e foreste.
Per confermare tutto, un po’ di dati: secondo la Fao, gli allevamenti di bestiame sarebbero responsabili di circa il 20% dei gas serra emessi ogni anno nell’atmosfera, un dato in crescita rispetto a un paio d’anni fa e comunque sottostimato secondo molti analisti. Sempre secondo i report dell’Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura, che fa capo all’Onu, nel mondo ci sono quasi 1,5 miliardi di capi di bestiame e quasi 26 miliardi di polli e simili, che mangiano ognuno circa 15-20 chilogrammi di foraggio ogni giorno e vengono usati per produrre oltre 340 milioni di tonnellate di carne rossa e quasi 130 milioni di tonnellate di carne bianca ogni anno, con una decisa ed evidente impennata dagli anni ‘60 e poi ancora dagli ‘90. Come detto, per reggere questi ritmi serve spazio. Secondo un’elaborazione fatta da Our World in Data, la metà esatta della parte abitabile della Terra (tolti mari, ghiacciai, deserti e altre aree inospitali) è destinata all’agricoltura: sono più o meno 51 milioni di chilometri quadrati, cioè 34 volte la superficie occupata da tutte le città del mondo tutte insieme. E questa terra non la coltiviamo per noi: il 77% serve per allevare animali e far crescere cibo con cui nutrirli.
Ma perché c’è la necessità di tutto questo spazio? Perché per produrre 1 chilogrammo di carne di agnello servono quasi 370 metri quadrati di terreno, che scendono a 326 per avere 1 kg di carne di manzo, a 88 per 1 kg di formaggio, a poco meno di 9 metri quadrati per l’equivalente in latte e così via. E perché mangiare meno carne vuol dire inquinare meno? Banalmente, perché se si riduce la domanda, si riduce l’offerta.
Smettere di mangiare cibo derivato dagli animali fa bene alla Terra
Non serve arrivare a tanto, comunque: secondo gli esperti (di cibo e clima), evitando il consumo di carne per un paio di giorni alla settimana o addirittura dimezzandolo (come vi abbiamo raccontato in Reducetariani, vegetariani, vegani: le 8 diete alternative più diffuse), si riesce a ridurre di oltre il 40% l’impatto ambientale della voce “alimentazione” della propria carbon footprint. È utile anche scegliere non solo prodotti locali, ma pure di stagione, per evitare sia la cosiddetta “agricoltura intensiva”, che consente di coltivare qualsiasi cosa in qualsiasi momento, sia il trasporto dei prodotti da un capo all’altro del mondo.
L’alternativa passa per la compensazione
Infine, la delicata questione del “cosa posso fare da solo, se non mangio più carne o ne mangio meno?”. Si può fare tanto, principalmente per due motivi: psicologicamente, perché l’esempio di una persona può servire a convincerne altre, nella sua cerchia di amici, familiari, conoscenti; nella pratica, perché davvero l’unico potere dei consumatori per condizionare le scelte delle aziende è comprare o meno i loro prodotti. Nel caso specifico, per fare calare la produzione (l’offerta) di carne, che ha sull’ambiente le conseguenze negative che abbiamo visto, è necessario far calare la domanda.
Chiaramente il processo è lungo, ma è proprio perché è lungo che è meglio sbrigarsi a iniziarlo. Perché è vero, come dice spesso il presidente Trump, che “i cambiamenti climatici ci sono sempre stati e dopo di questo ne verrà un altro”, ma di solito fra uno e l’altro, soprattutto se di questa portata, la specie dominante sulla Terra viene decimata o spazzata via. E questa volta la specie dominante siamo noi, non i dinosauri...
Emanuele Capone si è formato professionalmente nella redazione di Quattroruote, dove ha lavorato per 10 anni. Nel 2006 è tornato nella sua Genova, è nella redazione Web del Secolo XIX e scrive di alimentazione, tecnologia, mobilità e cultura pop.
Illustrazione di Davide Abbati.